Barometer Kiev 2019: le impressioni di Fulvio Piccinino

di Fulvio Piccinino


Il Barometer di Kiev rappresenta, insieme al Bar Show di Mosca, l’espressione del bartending dell’est Europa. L’interesse nei confronti degli spirits è in crescita pensando grazie a personaggi ormai affermati provenienti da questa area, come Beke, Kratena e Lorinz. I bar dove si “beve bene” si stanno moltiplicando e passeggiando per Kiev questo cambiamento si percepisce.

Mi piace ricordare che a Kiev ha aperto una vermutteria dal nome emblematico “Torino Milano”, solamente quattro giorni prima dell’evento e che ha avuto immediatamente ottimi riscontri. Le bottigliere ben assortite e tematiche si stanno moltiplicando, nonostante esista ancora una certa difficoltà nell’importare alcol straniero.

I distillati tradizionali, come le vodke, spesso aromatizzate al rafano o al peperoncino e miele, veri cavalli di battaglia del periodo sovietico, resistono bene all’interno dei ristoranti mentre nei locali alla moda, rappresentando uno stile di vita passato, hanno subito una involuzione come fu negli anni Ottanta e Novanta per noi con vermouth ed amari. Lo stesso dicasi per i brandy locali, georgiani ed armeni, di pregevole fattura ma con etichette e bottiglie estremamente datate.

Il Barometer esiste da tre anni e lo scorso anno ha fatto segnare 16 mila ingressi nell’arco dei tre giorni. Quest’anno si spingono a previsioni che vedrebbero quota 20 mila praticamente raggiunta. Il tema di questa edizione è stato “Roots” (radici in inglese), ovvero i percorsi storici che hanno portato fino a noi i prodotti tradizionali. Motivo per cui si è parlato di vermouth, jenever, miscelazione classica e bar storici dove si è fatta la storia. Un tema difficile per un mercato che non sente ancora l’esigenza della formazione merceologica come fondamentale, ma che diventerà necessaria qualora alcuni filoni attecchiscano come vermouth o i distillati da agave, che iniziano a farsi notare a scaffale.

Il Barometer di Kiev è un evento dove i partecipanti si dividono a metà professionisti del settore ho.re.ca. e appassionati a testimonianza del fatto che c’è un forte interesse nei consumatori nel “bere di qualità”. Non dimentichiamo infatti che qui fino a qualche decennio fa il mercato era monopolizzato da prodotti autarchici, dove la miscelazione era rappresentata principalmente dal binomio distillato e bevanda sodata. Una situazione, quella ucraina, che premiava vodke e brandy locali e relegavano a comprimari i rari prodotti di importazione, solitamente reperibili solitamente nei lussuosi bar d’albergo della capitale, Kiev.

Consci del fatto che l’alcolismo era ed è uno dei problemi del Paese gli organizzatori hanno fissato fin da subito un prezzo abbastanza elevato per l’ingresso e per i cocktail da poter degustare all’interno della manifestazione. In questo modo viene scoraggiata la filosofia che vede nei bar show la possibilità di ubriacarsi con pochi euro. Il biglietto è studiato per favorire gli ingressi ai numerosi seminari della manifestazione che sono ben segnalati e promozionati a dovere.

Questo perché gli staff sono piuttosto numerosi nei locali, situazione tipica delle nuove aperture dove non si è in grado di prevedere il lavoro e non si vogliono fare brutte figure, sia per un costo del lavoro relativamente basso. Grazie a questo non è impossibile avere un giorno libero anche nel fine settimana, cosa praticamente impossibile in Italia, dove eventi tematici e bar show sono rigorosamente di lunedì e martedì.

Le grandi aziende del mercato degli spirits sono tutti presenti con netta predominanza dei produttori di rum e whisky, mentre il gin praticamente non vede protagonisti diversi dai big ben conosciuti, che però propongono soprattutto il vituperato gin alla fragola. Siamo quindi lontani dalle mode italiane ed in genere europee che vedono questo distillato in ascesa con decine di prodotti. Forse per ragioni climatiche si preferisce il caraibico rum e la divertente atmosfera dei bar tiki, mentre il whisky rimane, a queste latitudini, uno dei must, che simboleggiava, insieme al cognac, il bere di qualità all’occidentale. La presenza italiana è importante ma non massiccia, spesso all’interno degli stand degli importatori, con vermouth, bitter e liquori, i nostri cavalli di battaglia.

Ma veniamo ai veri protagonisti dell’evento che sono i bar invitati all’interno della hall principale che fanno bella mostra di se con ben organizzate working station. Ovviamente la parte del leone la fanno i bar del paese, ricordando che l’Ucraina ha ben 4 città sopra il milione di abitanti e che Kiev ne ha cinque volte tanto. Oltre a questi ci sono bar di Paesi vicini ed amici, come Lituania, Lettonia, Cina, Khazakistan ed Emirati Arabi, più qualche ospite occidentale. Un grande “guest shift” per incuriosire gli appassionati che hanno così la possibilità di assaggiare diversi stili di miscelazione ed al contempo apprendere quali siano prodotti e le “usanze” del luogo.

Con qualche centinaio di grivna, i soldi locali, si possono assaggiare ottimi cocktail ed ascoltare i barman che lo hanno concepito. Infine non è da trascurare l’opportunità che viene data alle aziende partecipanti di poter contattare in un'unica giornata almeno una ventina di potenziali clienti. Non ci resta quindi che salutare il Barometer del 2019, aspettare quello del 2020, sperando in novità e migliorie e darvi appuntamento a Berlino Bar Convent.



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