A dicembre abbiamo tirato le somme guardando l’anno appena trascorso, pensando a quanto detto nei mesi precedenti. Quali profezie si sono avverate e quali no, e soprattutto quali saranno quelle future. Una tappa d’obbligo per ogni distillatore, distributore e gestore di locale per capire come anticipare le mosse di un mercato che sembra aver ripreso a macinare fatturato sotto l’incognita dell’aumento del costo delle materie prime e della loro reperibilità.
Hard selzer e prodotti analcolici
Di solito per carpire le informazioni necessarie a conferma delle nostre percezioni ci si guarda intorno, soprattutto al mercato anglofono, poiché spesso quello che accade oltre oceano poi si avvera in Italia. Questa formula funziona ma non sempre. Se infatti guardiamo le pagine web dei siti stranieri, parlano ancora in termini entusiastici del fenomeno del consumo analcolico e degli hard selzer, espressione della new age del low alcol. Ma qualcuno sottolinea che, anche in questi lidi, già sul finire del 2021 il consumo non abbia rispettato i trend previsti, segno che forse il settore va regolamentato con una definizione di cosa sia questo prodotto. L’hard selzer in questo momento può essere ottenuto fermentando cereali oppure mescolando semplicemente acqua e alcol, gasando il prodotto successivamente, così come l’aromatizzazione può essere del tutto naturale o implementata con aromi artificiali o identici. Di questo fenomeno americano avevamo parlato come possibile trend nell’articolo di settembre 2020 sugli scenari post Covid ma, alla resa dei conti, ha poi avuto ben pochi interpreti nel Bel Paese. Qualche prodotto è uscito, grazie soprattutto ai micro birrifici, ma il gusto secco e le aromatizzazioni spinte, da gelatina di frutta, hanno bloccato i palati italiani abituati a tutt’altro.
Lo stesso dicasi per i cocktail o i prodotti analcolici per cui è inesatto parlare di gin o bitter, poiché quelli propriamente detti, da disciplinare europeo, hanno gradazioni alcoliche minime da rispettare. Pur avendo alcuni ottimi interpreti e grazie all’attenzione dei media avuta per qualche mese, il fenomeno non è poi esploso in termini di proposte e di consumi. Semmai il consumatore si è rivolto verso cocktail low alcol, come Spritz e Hugo, e prodotti che normalmente hanno una bassa gradazione, come vino e birra, ritornando anche ai classici analcolici commerciali che nel frattempo, per contrastare sul nascere il fenomeno, sono ritornati in televisione.
Per il futuro non dobbiamo sottovalutare i recenti lanci e le acquisizioni di alcune multinazionali per una definitiva esplosione del fenomeno. Ma, ancora una volta, possiamo pensare che questo trend possa essere soprattutto sviluppato al di fuori dell’Italia.
Tè e acque aromatizzate
Una menzione va ai tè aromatizzati che sembrano essere la nuova frontiera della bevuta analcolica anche italiana. Se limone e pesca rimangono i capisaldi, sembra farsi spazio la tendenza a contenuti salutistici, comunicati spesso con implicazioni spirituali. Un trend che coinvolge anche acque aromatizzate con fragranze come lavanda, ibisco e sambuco, con effetti rilassanti e depuranti che potrebbero catturare l’attenzione del mercato, soprattutto giovane, in cerca di nuovi sapori che potrebbero includere presto anche curcuma (divenuta ormai immancabile in ogni frullato di frutta in Inghilterra) ed altre erbe aromatiche.
Prodotti premium e gin
Passiamo oltre per la conferma di alcune sensazioni. Una tendenza che è figlia del bere consapevole, quindi informato, che genera poi quello del bere responsabile, è la crescita dei prodotti premium. Un processo iniziato alcuni decenni fa nel mondo del vino, dove dal “calice bianco” o “bicchiere di rosso” generico, versato spesso da un bottiglione la cui etichetta inguardabile comunicava il minimo di legge, si è passati alla richiesta di vitigni particolari, spesso argomentati con un linguaggio appropriato dove spopolavano i termini “fruttato” e “minerale”. Il trend premium si percepisce soprattutto nel gin, di cui si celebra ogni anno il funerale, affermando che la crescita non potrà essere confermata, salvo poi essere smentiti dalla nascita di decine di prodotti e dai dati in doppia cifra. Questo distillato, nonostante qualche barman si dichiari stufo di assistere a nuove proposte, in realtà suscita moltissimo interesse nel consumatore, che si rivela curioso ed “assetato” di novità, tanto che degustazioni e serate dedicate si sono moltiplicate anche in ambiti extra bar, organizzate da associazioni e circoli privati. Dopo un periodo di “euforia botanica” che aveva visto nascere e crescere prodotti aromatizzati decisamente originali, dalle alghe dell’oceano all’acido formico, sembrerebbe che la vera moda sia fare un gin che profumi nuovamente di ginepro, con l’eccezione delle fragranze agrumate.
Whisky
In tutto questo si inserisce il ritorno, se mai se ne fosse veramente andato, del whisky, spinto soprattutto dalle micro distillerie il cui numero cresce ogni anno, tanto che l’Inghilterra ha superato la Scozia come numero totale. Il lancio di un gin fa spesso da sfondo ad un progetto ben più ambizioso, ossia il lancio sul mercato di un whisky. Il distillato al ginepro non necessita di invecchiamento ed è, insieme alla vodka, il modo per fare cassa e coprire le spese, in attesa dell’invecchiamento di legge dell’acquavite di cereali. Infatti, per comprendere il fenomeno, dobbiamo parlare del whisky a tutto tondo prodotto sia in Europa che negli stati asiatici. Se ormai il whisky giapponese è una realtà consolidata, si registra un forte ritorno dell’Irlanda con il suo Pot Still, ossia la tradizione del Dublin Whisky con orzo non maltato e tripla distillazione. Pare che nell’Isola di Smeraldo ci siano ben 23 prossime aperture, contando il ritorno sul mercato delle distillerie storiche chiuse e nuovi adepti. Ma non possiamo sottovalutare la Francia, di cui stranamente si parla ancora poco, con all’attivo ben due disciplinari produttivi, Bretagna ed Alsazia, ed una decina di distillerie all’attivo, e dell’Austria con una ventina. In tutto questo non poteva mancare l’Italia con solo due produttori, ma che dal 2022 potrebbe presentarsi con più di una proposta. Gli interpreti sembrano essere più che altro distillerie esistenti, di grappa o frutta, che vogliono diversificare la proposta, e qualche raro coraggioso che ha voluto sfidare la burocrazia italiana aprendo una distilleria in accisa sospesa.
Cognac e brandy
Passiamo ora al prodotto premium per eccellenza, il cognac, la cui ascesa in America è costante da un paio di anni. Dopo gli anni di involontaria comunicazione con i rapper, che da buoni arricchiti sfoggiavano abiti italiani e bevevano francese, l’acquavite ha riconquistato i cuori degli intenditori che sono ritornati all’ovile.
In tutto questo potrebbe inserirsi il brandy, da sempre l’alternativa con un miglior bilanciamento qualità prezzo, riferendoci soprattutto alla produzione italiana. Il brandy potrebbe tornare e non soltanto nelle versioni base ma con riserve che potrebbero sfidare tranquillamente, alla cieca, gli XO francesi. Un ritorno auspicabile dopo i ruggenti anni Settanta ed il lento declino, seguito anche al naufragio dell’Accademia del Brandy Italiano che voleva riportare in auge questa nostra eccellenza.
Tequila e mezcal
Un altro prodotto che subisce il fascino del premium è sicuramente il tequila. Da prodotto generico degli anni Ottanta, usato quasi esclusivamente per il rituale “sale e limone” e per shot improbabili con acqua tonica o gassosa, si è trasformato lentamente in un prodotto da meditazione da sorseggiare alla stregua di un cognac o un whisky. A questo si aggiunga che il Margarita risulta fra i primi 10 cocktail più bevuti al mondo. Le versioni invecchiate, prodotte da alcuni big del mercato e da qualche artigiano di nicchia, hanno avuto crescite esorbitanti che verranno sicuramente confermate nel 2022.
Lo stesso dicasi per il mezcal, il cui disciplinare molto complesso, suddiviso fra prodotti elaborati con tecniche moderne opposti a quelli ancestrali, dimostra grande vitalità grazie alla creazione del concetto di cru, tipico del cognac. L’uso di particolari agavi raccolte in zone vocate ha creato un mercato di intenditori alla ricerca di sempre nuove proposte che non conosce crisi.
Amaro e vermouth
Passiamo ora ai caposaldi di casa nostra, l’amaro e il vermouth. Il primo ormai ha un trend consolidato di crescita e conta decine di novità, con il ritorno di vecchie ricette e distillerie chiuse tornate operative con le loro specialità storiche. Impossibile citarle tutte, così come prevedere quale possa essere il trend di crescita, sicuramente a doppia cifra. In questo mercato risalta sicuramente il concetto di prodotto di territorio, così come di produttore locale grazie all’uso di erbe tipiche locali a firmare una base classica.
Lo stesso discorso vale per il vermouth che dopo l’exploit dei grandi produttori, trainati dal disciplinare, ha ripreso ad essere prodotto dalle piccole cantine. In passato ogni produttore di vino proponeva il suo vermouth e la sua grappa, salvo poi essere fagocitato nella crisi degli anni Settanta e dal successo dei marchi che avevano i budget da investire in comunicazione. Oggi si assiste ad un ritorno dei prodotti cosidetti artigianali, con un numero limitato di bottiglie all’attivo, prodotte con il vino di punta dell’azienda.
Grazie a questa tendenza, si è avuto un allargamento dei produttori conto terzi che hanno riattivato la licenza vermouth dopo averla messa in naftalina per un trentennio.
I nuovi vermouth seguono il trend del premium e sono proposti con vini base di pregio, dal Barolo al Timorasso, passando per il Chianti, ed hanno bouquet classici dove l’aspetto locale della firma è più limitato al vino. Il vermouth è sempre stato un prodotto glocal che ha fatto dell’internazionalità della ricetta uno dei suoi punti di forza e dove solo alcune erbe erano locali, a partire dalle artemisie ed alcune erbe dell’orto.
Questi prodotti sicuramente frammentano il mercato, sollevando commenti sullo stile del gin. Ma, essendo di qualità, hanno fatto parlare del prodotto e contribuito all’allargamento della fascia di consumatori, sfruttando la penetrazione del mercato del vino della cantina stessa.
Cocktail pronti
Chiudiamo qui l’analisi con un’ultima parola circa i cocktail pronti. Un vero e proprio boom che ha coinvolto chef stellati, barman e distributori, il cui sviluppo sembrava legato alle logiche del lockdown e del poter fruire del lavoro dei barman a casa propria e in ogni momento.
A dispetto di molti detrattori sembra sopravvivere, anzi accresce le sue quote e gli interpreti, per via delle opportunità di consumo diverse che offre e che inizialmente non erano state prese in considerazione: la festa fra amici, i frigo bar degli alberghi, le compagnie aeree e i bar poco specializzati che in questo modo sono in grado di declinare maggiormente l’offerta. Un successo da monitorare con attenzione, quello dei cocktail equilibrati e piacioni, che con il giusto rapporto qualità prezzo potrebbero scompaginare le carte del mercato classico.
Come sempre non mancano gli spunti di lettura, adesso sarà sufficiente far passare questo anno dandoci appuntamento fra 11 mesi.
A proposito, buon 2022!
- #partesaracconta