La storia della vodka

di Fulvio Piccinino


La vodka rappresenta senza dubbio uno dei maggiori percorsi virtuosi della storia della distillazione mondiale.

Nato come prodotto povero, con scarse qualità organolettiche, inizialmente era consumato soprattutto da gente con un basso potere di acquisto che necessitava di un robusto corroborante per la dura vita nelle campagne.
Poi, nel corso di un secolo si trasforma ed è in grado di diventare un prodotto elitario con bottiglie vendute a decine di euro, oggetto di strategie di marketing uniche nel suo genere. 

In questo lungo percorso di riabilitazione, partito nel Secondo dopoguerra, hanno giocato sicuramente a favore il cinema, da James Bond a Bruce Willis e il mondo della musica, in special modo il rap che ha fatto per un certo periodo da traino con i suoi big, ricordando fra i tanti Puff Daddy e 50 cents.   

Oggi non esiste uno stato al mondo che non produca la sua, spesso usando le materie prime tipiche del territorio: troviamo vodke da vino in Francia ed Italia, patate in Germania e Polonia, mais in Messico e mele in Inghilterra.
Ma non mancano alcune proposte originali, dalle ananas maturate al sole caldo delle Hawaii fino al gelo siberiano della linfa di betulla.

Ma nel valutare il variopinto caleidoscopio di proposte occorre ricordare il disciplinare produttivo poiché non dobbiamo pensare ad un prodotto intensamente profumato: la vodka infatti è tecnicamente alcol etilico di origine agricola con un grado minimo di 96,1 in cui non devono essere percettibili le note aromatiche della materia prima utilizzata. Pertanto nella vodka scordiamoci intense note fruttate o erbacee che la lettura di qualche rigo fa poteva suggerirci.

Tutto questo è possibile solamente con una quantità di sostanze volatili bassissima ottenibile con le moderne colonne a piatti per la distillazione frazionata. In pratica sfruttando il principio fisico dell’evaporazione le colonne riescono a creare concentrazioni di alcol con una minima percentuale di acqua ed altre impurità. Se uno volesse approfondire il discorso, qualche mese fa, sempre su queste pagine, abbiamo pubblicato uno speciale sulla distillazione ed il funzionamento di queste macchine.

A questo punto è necessaria una puntualizzazione.

Senza addentrarci nei meandri della storia appare evidente che la vodka così come noi la conosciamo sia un patrimonio assolutamente recente, quanto meno ottocentesco poiché è in questo secolo che vengono perfezionati gli alambicchi continui.

L’elenco degli inventori e dei perfezionatori di tale tecnologia sarebbe piuttosto lungo ma come ben sappiamo tutti i prodotti hanno bisogno di un padre o di un inventore su cui basare lo story telling. Ed il gioco si riduce a due protagonisti: i polacchi ed i russi. I primi citano un erborista e fisico tal Stefan Falimirz (o Falimierz) che nel suo trattato sulle erbe espone la fabbricazione di un alcol base per la loro macerazione. La datazione del trattato sulle Erbe ed il loro potere risale al 1534 ed è coevo, o addirittura successivo, di almeno una decine di altre opere scritte da alchimisti dove veniva prodotto un solvente, chiamato spirito o quintessenza, atto a questa importante operazione. Ne deriva che il nostro non inventò nulla di originale o quanto meno di esclusivo quanto meno per la storia europea. Inoltre le tecniche produttive di allora avevano all’attivo solo l’alambicco discontinuo pertanto la gradazione massima ottenuta sarebbe stata ben lontana rispetto da quella richiesta da disciplinare attuale. Anche pensando di distillare più volte non si riuscirebbe ad avere un grado superiore agli 80.

I secondi citano invece il chimico Mendeleev il quale alla fine dell’Ottocento si dedicava ai suoi studi sull’alcol e tutto voleva tranne che creare uno standard per la produzione e la diluizione di quello che noi avremmo poi chiamato vodka.

In pratica gli studi del matematico noto soprattutto per la tavola periodica degli elementi che porta il suo nome, divenuta un’icona della chimica e della scienza in generale, avevano ben altri obiettivi. Nella sua tesi del 1865 Sui composti dell'alcol con l'acqua sosteneva l'ipotesi che queste soluzioni fossero veri e propri composti chimici e che i principi della loro dissoluzione fosse alla base di questa scienza.  Da qui la credenza che sia stato lui a dettare la perfetta diluzione di alcol ed acqua a 40 gradi utilizzata dalla gran parte delle vodka.

E però innegabile che questa proporzione sia ottima e rappresenti il perfetto equilibrio: la loro unione risulta più pastosa dei singoli elementi ed ha un perfetto bilanciamento fra “sapore” e l’effetto bruciante dell’alcol puro.  

Se la tradizione indica nei cereali la materia prima originaria, soprattutto grano e segale, quest’ultima anche per questioni climatiche resistendo meglio al clima freddo dei paesi produttori, una parte dei consumatori è ancora convinta che alla base ci siano le patate.
Un errore indotto da chissà quale leggenda metropolitana o pubblicazione del primo dopoguerra. Sfatiamo definitivamente questo mito: le patate divennero materia di cucina e conseguentemente di distillazione solo in tempi  recenti. Giunte dal Nuovo Mondo insieme a pomodori e cacao, furono ritenute a lungo velenose ed usate solo a scopo ornamentale. Saranno riabilitate solo nel diciottesimo secolo ad opera dell’agronomo francese Parmantier (una famosa zuppa porta il suo nome) che durante la sua detenzione nelle carceri prussiane si sfamò con questi tuberi destinati originariamente ai soli maiali.

La vodka, come anticipato, si può produrre con vino, materia prima nobile gradita soprattutto ai francesi che hanno in Ciroc l’alfiere della tipologia. Il suo impiego lascia, nonostante la distillazione frazionata, la sua firma sul risultato finale con una leggera nota agrumata ed una morbidezza setosa nel sorso.

Ma sono i cereali a rimanere saldamente al comando, quanto meno per i puristi della tipologia.

Estrema pulizia ed assenza di acetati, tipici della materia enologica, fanno preferire a molti questo tipo di vodka, estremamente neutra e secca al palato.

E qui i maestri della distillazione olandesi sono sicuramente fra i primi, parlando di Nolet e della sua Ketel One. I testi settecenteschi indicano questa scuola fra le migliori in assoluto in grado di ottenere ottime basi alcoliche cerealicole per i loro jenever grazie ai loro alambicchi discontinui ibridi che montavano una corta colonna in luogo del classico elmo di scuola francese.

A loro ci rivolgiamo nuovamente anche per questa materia prima poiché è indiscusso che con la Grey Goose siano riusciti con il loro blasone, proveniente dall’expertise di cognac, a bruciare due secoli di storia e tradizione a russi e polacchi.
Un vero fenomeno del mercato nato grazie anche alla grandiosa opera di ospitalità fatta al castello Le Logis nel cuore della Grande Champagne.

Chiudiamo con il dire che la vodka rappresenta sicuramente il prodotto più duttile da miscelare, aggiungendo solamente carica alcolica a frutta, sodati o altri coadiuvanti liquoristici che quasi sempre hanno come base la medesima partenza, ovvero alcol neutro.

Il bassissimo residuo e le poche sostanze volatili, circa 20 grammi per ettolitro alcol anidro contro i 225 di un rhum agricolo, per dare un esempio pratico, rendono la vita tutto sommato semplice al barman che deve solamente scegliere coadiuvanti di qualità che verranno esaltati dalla vodka.

Chiudiamo con qualche consiglio di servizio. La vodka è l’unica bevanda in grado di pulire la bocca dal vero caviale, pertanto è un’esperienza da provare un boccone di questa prelibatezza accompagnata da un suo sorso. Se si vuole stare sulla tradizione più rustica la si può gustare su un piatto di prosciutto crudo affumicato o speck, con qualche cetriolo in agrodolce e panna acida oppure su un Borsch, una zuppa tipica a base di bietole rosse e carne o un più conosciuto Gulash. La vodka non va servita ghiacciata semmai fredda di frigo, mentre è uso comune, in alcuni paesi dell’Est aromatizzarla con qualche fettina di radice di rafano, ingrediente molto conosciuto della cucina italiana di confine. Ma attenti a non esagerare se non volete che vi lacrimino gli occhi a fine sorso!

Fra i grandi cocktail quasi dimenticati non possiamo non citare due figli degli anni Cinquanta, quando iniziò l’ascesa del prodotto: l’elegante Czarina con 3 cl di vodka, 1,5 di vermouth dry e 1,5 di apricot brandy e lo spaziale Sputnik con 4 cl di vodka, 1 di Cointreau e 1 di Bitter Campari.

Entrambi vanno serviti in coppa cocktail ghiacciata.

Cin cin.

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