La produzione degli amari

La produzione delle basi necessarie alla produzione degli amari, raccontata in tutte le sue fasi è una degli argomenti più interessanti in assoluto per barman ed appassionati della merceologia

di Fulvio Piccinino


In passato ci si accontentava di assaggiare e comprendere il bouquet, mentre oggi si vuole scoprire anche quelle che sono le tecniche ed i segreti per l’estrazione delle frazioni aromatiche.

Tutto questo si può spiegare con la tendenza ormai consolidata degli home made che ha trasformato molti barman in liquoristi, fermo restando che, mancando le analisi di laboratorio per individuare terpeni ed alcaloidi potenzialmente tossici in determinate quantità, ogni estratto fatto artigianalmente può essere potenzialmente pericoloso per chi lo consuma.
Per essere più chiari citiamo solo alcuni dei composti che vengono ricercati nelle tinture a tale proposito come la glicirizina contenuta nella liquirizia, il tujone in assenzio, salvia e tanaceto e la cumarina del calamo e della fava tonka le cui concentrazioni sono oggetto di limitazioni.

Ma dopo questa doverosa premessa come si produce un amaro?
Passiamo quindi a scoprire i metodi estrattivi.

Macerazione: si svolge sempre a freddo, ovvero a temperatura ambiente o poco sopra. E’ il metodo più antico e rispettoso della materia prima poiché estrae quasi fedelmente i principi attivi senza stressarli. Con questa tecnica si ottengono le tinture o alcoliti.
Le variabili aromatiche sono legate alla gradazione del solvente. Alcol puro o poco diluito con acqua per l’estrazione di erbe aromatiche o scorze di agrumi ricchi di oli essenziali, soluzione idroalcolica solitamente al di sotto dei sessanta gradi per i principi amari.
La macerazione, seguita da frequenti rimessaggi, quantomeno giornalieri, si protrae per tradizione per circa 21 giorni ma sui testi storici ci sono anche periodi più brevi, mai inferiori agli  8 giorni.
Per alcune erbe, come il genepy il consiglio è addirittura di prolungarla a 90.
I cavitatori ad ultrasuoni permettono di far letteralmente esplodere gli alveoli delle piante dove sono contenuti gli oli aromatici rendendo altamente performante, sotto il profilo aromatico, questa procedura. Il contraltare è la formazione di una mucillaggine, dovuta proprio all’estrema frammentazione della massa vegetale, che necessità di filtrazioni molto accurate.  

Macerazione calda o infusione: in passato veniva usata per accelerare il processo produttivo precedente, quando il mercato dei liquori aveva volumi ben diversi dagli attuali. Oggi viene utilizzata esclusivamente per l’estrazione di principi aromatici da texture più dure, dove sia necessario dilatare le fibre vegetali, come nei legni e nei rizomi. Il solvente può essere una soluzione acquosa o idroalcolica. 

Decozione: è il prolungamento dell’infusione svolta a temperature di poco inferiori all’ebollizione dell’acqua. E’ utilizzata per estrarre i principi amari di certi legni o cortecce. Rispetto all’infusione il liquido viene sostituito fino al completo esaurimento del principio aromatico.
Spesso il solvente è acqua che viene poi addizionata all’alcol per la conservazione della tintura.

Percolazione: è il principio della macchina del caffè o del filter all’americana. Si crea un tampone composto dalle erbe. La grana della macinatura è alla base del processo. Frammenti troppo grossi faranno passare troppo velocemente il liquido, le polveri al contrario creeranno una sovra estrazione per via del ristagno. Si procede versando, di volta in volta, un solvente con diverse concentrazioni d’alcol ed acqua, seguendo la logica di quanto detto per la macerazione.
Il numero di lotti che si vogliono ottenere è legato ai costi che si vogliono sostenere. Solitamente se ne ha uno a grado pieno, uno a gradazione intermedia e uno di acqua che serve a dilavare ed estrarre tutto l’alcol presente nelle fibre. Ovviamente con il medesimo lotto si fanno più passaggi pompando il solvente nuovamente al di sopra del tampone per essere sicuri che i composti solubili a quella gradazione siano esauriti. Alla fine si mescoleranno i singoli liquidi ottenuti, secondo la ricetta del produttore, per avere la tintura base, alla gradazione voluta.

Distillazione: con questo processo si “catturano” le frazioni leggere ed incolori del macerato. Le parti amare ed i pigmenti, solitamente molecole molto grandi sono incapaci di evaporare come abbiamo scritto in un articolo di qualche mese fa spiegando la distillazione.
Il risultato, detto alcolato, risulta quindi molto profumato, ricco di parti balsamiche, privo di parti amare e trasparente come l’acqua. 
I rotovapor creando il vuoto nella caldaia permettono l’evaporazione dell’alcol a temperature inferiori ai 78 gradi necessari in natura. Il poter distillare anche a 4 gradi centigradi, ovvero alla temperatura di un frigo, permette di mantenere intatte le fragranze di fiori, ortaggi e frutti che altrimenti sarebbero cotti dentro un alambicco tradizionale.

Filtrazione: non è un sistema di estrazione ma è la procedura finale attraverso la quale si eliminano le frazioni vegetali e gli eccessi di oli. La scelta della grana del filtro è fondamentale. Se eccessivamente fine si rischierà di impoverire eccessivamente il macerato, se troppo larga si avranno successive sedimentazioni che, specie in un prodotto commerciale, possono risultare antiestetiche. In alcuni casi si procede anche con la filtrazione con la bentonite un minerale argilloso che ingloba le impurità depositandole sul fondo, dando anche una bella brillantezza al liquido. Viene mescolato al liquido e si lascia sedimentare per qualche giorno. Questo metodo ha sempre ottimi risultati ma spesso risulta eccessivamente penalizzante per il profilo aromatico, comparandolo con l’iniziale ma ha indubbi vantaggi sulla totale assenza di sedimenti nel tempo.

Finiamo con la produzione.

Tutte queste metodologie possono essere applicare per una singola erba, per gruppi botanici omologhi per texture o composizione, o miste.
Nel passato si usava, per una ragione di costi e di conoscenze solo la mista, ovvero tutte le erbe venivano poste in un unico contenitore mentre con l’affinamento delle conoscenze ci si è accorti che non tutti i principi aromatici avevano bisogno degli stessi tempi e gradazioni alcoliche.
Nella produzioni di alcuni amari di tradizione si arrivava anche a produrre cinque diverse macerazioni suddividendo fra erbe, bacche, fiori, radici, cortecce e legni per poi blendarle insieme.
Le macerazioni singole si facevano soprattutto per quelle erbe le cui caratteristiche di intensità variavano nel tempo, regione di provenienza o con la stagione. Per evitare di avere, con il medesimo dosaggio della ricetta, risultati diversi, si preferiva aggiungere poi la tintura singola dosandola correttamente per avere il giusto bilanciamento.
Infine in alcuni amari di tradizione o liquori di erbe singola, come il genepy, spesso si distillava un terzo o la metà del macerato.  Il risultato del passaggio in alambicco viene poi miscelato nuovamente con quest’ultimo in questo modo il profilo aromatico sarà molto complesso senza essere appesantito da un eccesso di sostanze amare ed oli.
Le tinture, sia singole che miste venivano poi diluite con acqua, se troppo ricche di oli con alcol ed erano opportunamente zuccherate per bilanciare, a secondo della ricetta, le parti amare.
Seguiva un periodo di maturazione, di almeno un mese, sia esso in acciaio, per arrotondare e rendere più levigati i vari elementi aromatici.
Una volta confezionato c’era un ulteriore riposo prima che il cartone uscisse dal magazzino per evitare quello che veniva chiamato dai vecchi, il mal di bottiglia.

Tutto questo per dire che, alla prossima bottiglia di amaro che aprirete potrete apprezzarlo al meglio pensando al grande lavoro ed ai secoli di ricerche che ci sono dietro al vostro bicchiere.

Cin cin.  

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