Storia essenziale del Vermouth di Torino

di Fulvio Piccinino


Mai come negli ultimi due anni, si è parlato di vermouth e la rinascita di questo prodotto ormai è divenuta realtà. Il disciplinare del Vermouth di Torino, il ritorno di molti produttori storici e la comparsa di nuovi protagonisti nel mercato, ha ovviamente ridestato interesse. E spesso negli articoli pubblicati o nelle conferenze ci si è soffermati esclusivamente sul suo inventore o sulle teorie che collocano la nascita del vermouth fuori dal Piemonte. In realtà sarebbe molto più interessante scoprire quale sia stato il percorso storico e culturale che ha portato una specialità medicinale, dalle quasi sicure origini teutoniche, a diventare il protagonista dell’aperitivo italiano e mondiale. Se ci fu l’esigenza di coniare il termine Vermouth di Torino e aggiungere una denominazione di origine appare scontato che di vermouth ce ne fossero altri.

Ma perché fu necessario, ad un certo punto, differenziarlo?

Per capirlo, ripercorriamo insieme quali sono le date e gli episodi salienti che hanno fatto del Vermouth di Torino un’eccellenza mondiale.

 

1400 - 1500: wermutwein, spezie e alchimisti 

1443 Un documento daziale tassa la produzione di acquavite derivanti da Barbera e Moscato. È uno dei primi mai ritrovati ed attesta come in Piemonte vi sia una forte conoscenza della distillazione che sarà funzionale, come vedremo. allo sviluppo del vermouth. L’alcol infatti è il solvente per la macerazione delle erbe e l’elemento fortificante del vino.

1541 Viene pubblicato il "De Re Coquinaria" una raccolta di ricette attribuite a Marco Gavio Apicio, gourmand romano vissuto a cavallo tra il I secolo a.C e il I secolo d.C. Questa contiene una ricetta di vinum absinthiatum contenente altre spezie, utilizzata probabilmente a scopi digestivi.

1549 Costantino Cesare nel suo "De Notevoli et utilissimi ammaestramenti sull’agricoltura" descrive la preparazione di un vino all’assenzio, tipico delle campagne italiane per curare i problemi di stomaco ed intestino, come vermi e infezioni.

1570 Giovan Vittorio Soderini nel suo "Trattato sulla coltivazione delle viti e del frutto che se ne può cavare" scrive « … usano i Germani ed in Ungheria ancora si fa vino d’assenzio, rosmarino e salvia» da qui deriva il nome wermutwein. Il trattato infatti fu ristampato più volte, fino al Settecento, segno di un ottimo successo. I Savoia, da sempre legati alla corte austriaca e desiderosi di sottolineare le loro origini teutoniche, probabilmente favorirono la loro diffusione.

1583 Carlo Emanuele di Savoia emana un editto per favorire l’insediamento di opifici e liquorerie a Torino, offrendo uno sconto sulle tasse. Nasce di lì a poco Contrada Dora Grossa, che sarà la prima sede di molti vermuttisti e distillerie. Sempre nel Cinquecento Torino detiene il primato delle spezierie per abitante con oltre 24 farmacie riunite nella Collegiata. La tradizione dice che da Torino passarono grandi alchimisti che lavorarono alla corte dei Savoia, come Paracelso e Nostradamus.

1585 Castore Durante, medico romano, descrive nell' "Herbario Nuovo", la produzione di un vino all’assenzio per “provocare l’appetito”.

 

1700: Rosoli torinesi, l'Università degli Acquavitai e Carpano

1712 Massialot scrive "Nouvelle instruction por les confitures et liquors", dove è presente un capitolo dedicato alla grande maestria dei distillatori torinesi e la bontà dei loro Rosoli. Anche qui sarà necessario aggiungere l’origine della specialità la cui produzione durerà fino alle soglie del Novecento.

1736 Viene stampata la "Farmacopea Taurinense" che contiene alcune ricette di vino all’assenzio ovviamente a scopo medico. A Torino per diventare distillatore si doveva essere anche proto medici, pertanto è facile pensare che molti liquoristi abbiano letto il testo e preso ispirazione.

1739 Viene fondata, sempre a Torino, l’Università degli acquavitai e dei confetturieri. Negli archivi della città si trovano ancora le prove d’esame per diventare maestro di alambicco.

1757 Viene stampato “The Complete distiller” di Ambrose Cooper. Anche sul testo inglese si menzionano i Rosoli di Torino.

1773 Viene pubblicata l’opera "Oenologia Toscana" di Giovanni Cosimo Villifranchi in cui viene menzionata la produzione di un vermuth, assimilandolo ai vini medicinali stomatici, citati da Plinio e Dioscoride, prodotto con ottimi vini e divenuto delizia della tavola, ovvero una sorta di proto amaro. Nel medesimo periodo anche in Piemonte, nel castello di Agliè, ci sono tracce di vini Vermouth. ll maggiordomo lo cita nel suo inventario e dice di utilizzarlo come ricostituente per i convalescenti e per le balie che devono produrre latte.

1786 Secondo la tradizione Carpano inventa il Vermouth. Questa informazione arriva fino a noi grazie alle opere "Il Vermouth di Torino" di Strucchi e il "Manuale del liquorista" di Maragliano, dove si afferma che il padre del vermouth è proprio il liquorista biellese. Anche un articolo de "La Stampa" datato 1916 lo cita come inventore del vermouth.

 

1800: il vermouth all'"uso di Torino"

1826 Vincenzo Agnoletti, pasticcere personale alla corte di Parma di Maria Luisa di Asburgo, descrive nel suo "Manuale del Credenziere" la ricetta di un vermouth composto  a scopo digestivo che egli stesso giudica di pessimo gusto.

1854 Giovanni Vialardi scrive il "Trattato di cucina e confettureria". Contiene la prima ricetta aperta di vermouth utilizzata alla Corte dei Savoia. È un vino aromatizzato con assenzio gentile e spezie, fra cui spicca il pepe nero.

1857 Prima evidenza della differenziazione della produzione torinese. Pietro Valsecchi, autore del primo manuale di distillazione italiano conosciuto, cita alcune ricette di Wermuth e ne distingue una, segnalandola come “All’Uso di Torino”. Non indica altre origini, rafforzando la teoria che a Torino vi fosse uno stile diverso, che viene confermato leggendo le ricette. Quest’ultima contiene sia zucchero che alcol a fortificare il vino, a differenza delle altre che sono meno dolci e complesse a livello di piante aromatiche.

1879 Adriano Salani nel suo "Manuale del Liquorista" riporta alcune ricette, suddividendole fra scuola toscana e torinese. I prodotti sono molto diversi: quello toscano non ha nè fortificazione nè edulcorazione aggiunta ma è affidata solamente al residuo zuccherino del vino.

1886 Valerio Busnelli scrive il "Moderno Liquorista". Anche su questo libro si trovano ricette separate. In genere il vermouth toscano è meno complesso e dolce, come se rimanesse ancorato alla sua origine medicinale. Il vermouth di Torino è fortificato con alcol, vero elemento di successo del prodotto, in quanto la macerazione con questo solvente assicurava una maggior estrazione dei principi aromatici rispetto al vino.

1893 Gancia vince un’onorificenza a Chicago per un “Vermouth Bianco dal gusto molto fine”. La pergamena si trova negli archivi dell'azienda. E’ primo documento ufficiale in Italia sulla produzione di un vermouth bianco. Ma il primo brevetto richiesto per questa variante è di Egidio Isolabella, liquorista in Milano.

1896 Luigi Sala nel suo libro "Il Liquorista", forse uno dei più importanti testi italiani di settore, afferma che la produzione di vermouth piemontese è superiore per via della maestria dei produttori e della bontà delle materie prime. L’autore afferma che i vini piemontesi sono superiori per qualità e che ogni tentativo di imitazione non ha avuto successo.

 

1900: "Se a Torino a Torino il vermouth non ebbe i suoi natali, qui ebbe il battesimo della rinomanza”

1906 Strucchi pubblica la pietra miliare "Il vermouth di Torino". L’enologo di casa Gancia ammette che la produzione toscana in passato aveva avuto ampio credito ma che ora è stata debellata (l’autore usa questo verbo) da quella piemontese. Sua la famosa frase “Se a Torino il vermouth non ebbe i suoi natali, qui ebbe il battesimo della rinomanza”. Sempre in questo anno Ottavio Ottavi pubblica "Vini di Lusso" dove colloca le origini del vermouth in Germania, accenna a produzioni sparse per l’Italia, fra cui la Sicilia divenuta famosa per i Vermouth al Marsala, ma dà la superiorità produttiva al Piemonte.

1935 Viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale uno dei primi disciplinari sul vermouth. Il Torino deve avere almeno 15.5 gradi e caratteristiche qualitative ben precise. Nello stesso anno Alberigo Cotone pubblica l’ultimo libro sull’argomento “Il Vermouth ed i suoi componenti” sostanzialmente una edizione riveduta e corretta dell'opera di Strucchi.

Da questa cronistoria si evince come il Vermouth di Torino non sia nato per caso, che in Piemonte vi furono le condizioni ideali e che qui trovò terreno fertile. Perché è molto più interessante scoprire, come dicono gli inglesi, il “why” piuttosto che il “who”.

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