L’alcol è tassato praticamente da sempre. Per i regni e gli imperi del passato, questa voce ha sempre rappresentato un importante introito, necessario a finanziare la costosa vita di corte, l’apparato burocratico e le guerre di conquista.
Nel 1443 abbiamo una delle prime testimonianze. Un documento del potente Marchesato di Saluzzo attesta il pagamento di una tassa alla gabella di Moretta su un’acquavite da Barbera e Moscato. La tassazione avviene tramite l’alambicco giornaliero, una caldaia di rame con capienza di 250 litri di cui si stima la durata del ciclo di lavorazione. In pratica l’erario fa pagare in anticipo il distillatore per il suo affitto, stimando la produzione di acquavite sulla giornata. Sistemi analoghi sono utilizzati in Scozia, dove si tassa la capienza dell’alambicco o i chili di orzo presenti a magazzino. Tornando al vino ed alle vinacce, il distillatore doveva avere solo una vaga idea del concetto di qualità del prodotto, tanto che ad inizio Settecento un protomedico accompagna gli esattori che ritirano l’alambicco. Questo per evitare che il prodotto finale, in nome di una maggior resa, sia prossimo ad essere un veleno per via dell’alcol metilico o di composti empireumatici.
A partire dalla fine del Settecento le cose iniziano a cambiare. Con la nascita delle prime realtà industriali dell’industria dell’alcol italiano, divenne necessario creare un sistema più efficiente di tassazione. Con la nascita del Regno nel marzo del 1861, fu di primaria importanza dare un’interpretazione univoca di tale argomento. Non si poteva infatti perdurare nei balzelli locali, così come si doveva uniformare l’unità di misura dei recipienti alla vendita. Su un testo pubblicato a Roma nel 1914, troviamo un ampio resoconto cronologico che attesta la centralizzazione del tributo: le tasse sulla produzione della birra e delle acque gassose, furono imposte con la legge 3 luglio 1864 n° 1827, ma fino al 1870 furono riscosse insieme col dazio di consumo. Per la centralizzazione del tributo sui distillati dovremo aspettare il 1870. A livello di curiosità, gli altri dazi introdotti saranno quelli sulla cicoria per il preparato di caffè nel 1874, sullo zucchero nel 1877 e sui fiammiferi nel 1896.
La tassa inizialmente fu quasi un obolo, con sole 20 lire per ettolitro di alcol la cui gradazione non viene indicata. Al tempo i prodotti dell’alambicco erano due: l’acquavite con una gradazione di 52 gradi circa e lo spirito di vino sui 90. Gli alcolometri di Guy Lussac avevano finalmente posto fine alle prove empiriche sulla gradazione dell’alcol fatte di polvere da sparo e stracci di lino dati alle fiamme. Nel 1879 l’importo crebbe a 30 lire, mentre nel 1880 venne raddoppiato a 60. I costi dell’Unione erano molto elevati. E’ dal 1868 che l’Italia vede crescere il suo deficit che raggiunge livelli elevatissimi, tanto che deve introdurre tasse impopolari come quella sul Macinato, che colpisce l’alimento principale della nostra dieta, il pane. E anche l’alcol visse un’escalation: la tassa arrivò a toccare la quota psicologica delle 100 lire del 1883, e l’anno seguente salì a 150 e poi a 180 lire. Ma, come ben sappiamo, le tasse sono spesso un deterrente alla produzione e non sempre al loro aumento corrisponde un maggior gettito. Dal 1887 al 1890 infatti diminuì sensibilmente: questo corrispose con la più alta misura del tributo che raggiunse fra tassa di fabbricazione e vendita 240 lire per ettolitro. L’aumento esagerato fece calare la produzione, ed aumentando i prezzi al consumo diminuì ovviamente i consumi, forse favorendo anche l’illegalità della produzione casalinga. Questo si tradusse in una perdita secca di entrate per l’erario. Lo stesso era accaduto qualche decennio prima in Scozia con il whisky ed ancora prima in Inghilterra con il gin. Lo Stato, accortosi dell’evidente errore, capendo che l’industria dell’alcol era arrivata al limite, per non provocare chiusure e disoccupazione corse ai ripari diminuendo la pressione fiscale sulle distillerie. Il gettito risalì quasi immediatamente da 32 a 42 milioni di lire, recuperando il pesante passivo. Nonostante questo, il sistema Italia passò dalle novemila distillerie registrate di fine Ottocento a poco più di duemila nei primi decenni del Novecento.
Arriviamo ai giorni nostri. Interessante notare come le tasse sull’alcol siano lievitate notevolmente nell’ultimo decennio, e per dimostrarlo daremo ancora qualche dato. Nel 1960 la Gazzetta Ufficiale riporta che per ogni ettolitro di alcol anidro (alcol a 100 gradi, il concetto astratto che permette una tassazione più precisa) la tassa era di 40 mila lire, nel 1976 triplica arrivando a 120 mila, mentre ai giorni nostri con l’entrata in vigore dell’euro siamo passati rapidamente dai 905 del 2013 ai 1.035 euro del 2019. Passiamo ora ai contrassegni. Una tassa sulla tassa, ovvero la prova che si sono pagate le accise. Ogni bottiglia che esce dallo stabilimento ne deve avere uno. In Italia sono una antica istituzione, per questo motivo sono un utile documento per avere un’idea sulla datazione delle bottiglie. Sfortunatamente, non esistendo documenti ufficiali sull’entrata in vigore e sulla dismissione, non possiamo avere la certezza assoluta nel collocare a livello temporale la bottiglia sul mercato. I sigilli, acquistati in anticipo sull’imbottigliamento, potevano essere smaltiti con tempi diversi dalle distillerie in base al successo o meno dei loro prodotti, pertanto è possibile anche errare di un lustro la collocazione delle bottiglie, a meno di possedere il registro interno del produttore.
Il Regio Decreto pubblicato nel novembre del 1933/XII sancì la nascita di un nuovo ed efficiente sigillo antifrode: a seconda dei contenitori, bottiglia o damigiana, doveva essere posta una gabbietta o un grosso tappo metallico chiuso con il fil di ferro punzonato con un sigillo recante lo stemma sabaudo e due fasci littori. Oltre a dare testimonianza del pagamento, impediva che disonesti trasportatori sottraessero il prodotto sostituendolo con acqua o con uno di inferiore qualità. Questo sistema poco pratico aggiunse il costo della sua collocazione manuale sulle bottiglie e mandò in pensione una altrettanto poco amata (dai produttori) fascetta filigranata dentellata con stemma sabaudo. Ovviamente la caduta del fascismo divise l’Italia: al nord resistette il vecchio sigillo mentre al sud ci fu il ritorno ai fregi Savoia. La nascita del Bollino UTIF, Ufficio Tecnico Imposte di Fabbricazione, mandò in pensione i precedenti metodi tornando alla fascetta di carta. Nel 1946 iniziò ad essere utilizzato il profilo di una giovane donna, che nell’idea dei suoi creatori doveva simboleggiare la neonata Repubblica Italiana. Lo stesso simbolo compariva sulle schede elettorali ed in seguito, molto simile, sulle monete da 100 lire. Nel 1948/49 anche questa soluzione andò in pensione, per ragioni socio-politiche non meglio spiegate, e si ricorse ad un più neutro e politicamente corretto Sigillo Stella, una placca metallica con stampata una stella a cinque punte al centro di una ruota dentata con foglie di ulivo e quercia. Nel 1952 si scelse necessariamente di passare alla filigrana che, come sulla carta moneta, risultava di difficile contraffazione. Questi sigilli vennero spesso cambiati di cromia, per rendere la vita difficile ai falsari, e divennero bicolori. Una vera fortuna per i collezionisti, che riuscirono così a collocare a livello temporale la bottiglia con uno scarto minore.
Oggi lo Stato vende le fascette dal costo di 0,47 centesimi cadauna, in base ai litri che il distillatore decide di imbottigliare, facendoli uscire dal magazzino daziale o dalla sua cantina. Come si evince dal testo, le cose non sono praticamente cambiate negli ultimi 88 anni. Se il costo del bollino è irrisorio, risulta comunque una tassa sulla tassa, con il controsenso che per la sua stampa lo Stato spende di più. Il problema sono i costi aggiuntivi per la sua collocazione a cavallo del tappo della bottiglia: dalla colla alimentare speciale, spesso introvabile anche negli uffici preposti, al macchinario. Ben più semplice sarebbe la sua applicazione tramite bollino adesivo o direttamente sull’etichetta con un bordo filigranato o olografico, in considerazione del fatto che con i moderni tappi e capsule termoretraibili ormai i sistemi anti sottrazione sono ben più evoluti.
Chiudiamo con il dire, a proposito di tasse, che a marzo sono stati aboliti in via sperimentale (sperando in una proroga dei 4 mesi inizialmente stabiliti) i dazi sui liquori italiani esportati in America. Finalmente una buona notizia.
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