Ancora un articolo sul gin? Ma non è già stato detto e scritto tutto? In effetti dal 2013 ad oggi sono 6 i libri pubblicati sull’argomento, a cui si aggiungono decine di articoli della stampa specializzata. Eppure qualcosa da scoprire ancora c'è. Sembra infatti che a nessuno interessi analizzare il collegamento tra l’Italia e la storia del gin e, in generale, dei liquori al ginepro che ci darebbe, invece, grosse soddisfazioni.
Partiamo da cosa sappiamo...
La nascita del gin secondo la versione ufficiale
Secondo la tradizione, l’invenzione di questo distillato si deve ad un olandese: Franciscus de la Boë o de la Bouve, a seconda delle fonti, che di mestiere faceva il medico ed iniziò a distillare il ginepro alla ricerca di un diuretico come rimedio per i reni affaticati. La maggioranza degli autori americani, inglesi ed italiani dalla fine del Ottocento fino ai moderni anni Ottanta sono concordi nell’individuare in questo medico di Leyda l’inventore del gin.
Tuttavia negli ultimi anni un autore apprezzato come Gary Regan ha avanzato l’ipotesi secondo cui l’origine del distillato debba essere ricondotta al nostro Paese.
Quali sono gli indizi che portano all’Italia?
La nascita del gin e la nuova teoria
Chi sostiene questa tesi fa riferimento soprattutto a tre cose:
1. L’eccellenza italiana nella coltivazione del ginepro che viene attestata da Pietro Andrea Mattioli già a partire dal 1544 e che individuerebbe nella Toscana ed in particolare Siena, il luogo di elezione;
2. L’esistenza della Scuola di Salerno, la più importante istituzione medica in Europa durante il medioevo che, oltre ad avere avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della medicina, diede un grade impulso al processo di distillazione;
3. La creazione, sempre ad opera della Scuola di Salerno, del primo orto botanico che poi si sarebbe diffuso nel resto d’Italia.
A questo si potrebbe anche aggiungere l’apporto dato dai nostri alchimisti, medici, ordini religiosi e forgiatori di metalli, le cui innovazioni contribuirono senza ombra di dubbio, all’evoluzione qualitativa delle acquaviti.
Tre indizi fanno una prova, diceva Agatha Christie, e qui di indizi ce ne sono parecchi. E’ molto probabile che i medici della Scuola di Salerno si cimentarono nella distillazione di qualunque cosa: dalla vinaccia alla birra, fino al sidro e che probabilmente il risultato l'avessero aromatizzato al ginepro. A supporto di questa teoria ci sono anche numerosi riferimenti, presenti in testi italiani e stranieri, che vanno dal Medioevo ad oggi, dove si scopre che distillati e liquori di ginepro erano molto utilizzati in Italia. Si trattava di acquaviti ed acque aromatizzate di scuola alchemica a scopo medicinale, dalla fabbricazione lunga e difficoltosa e dove la quantità di ginepro era quadrupla rispetto ad ogni altra pianta e che possiamo, quindi, considerare molto vicini ai gin a cui siamo abituati oggi. Un esempio molto interessante è la ricetta di Alessio Piemontese contenuta nel suo libro del 1555 “De’ Secreti”, il cui risultato al termine della distillazione era un liquido “chiarissimo come l’acqua”.
Il rosolio, l’antenato prossimo del gin
L’arrivo della dolcificazione di elisir ed alcolati, le cui prime testimonianze risalgono al 1600, segnò l’inizio della stagione dei rosoli, liquori ottenuti per distillazione, dove il nostro Paese ed il Piemonte in modo particolare, ebbero un ruolo primario. Sui testi di liquoristica francese di fine Seicento ed inizi Settecento, si dedicano interi paragrafi ai Ros Solis de Turin, la cui bontà e fama aveva valicato le Alpi fino a giungere anche in Inghilterra, come dimostra il Complete Distiller del 1757 di Ambrose Cooper.
Altri riferimenti li troviamo nel libro il “Confetturiere Piemontese”, la summa del sapere della regione e che conteneva ricette di rosoli dolci e secchi di cui due al ginepro.
I rosoli furono, di fatto, gli antenati prossimi dei gin italiani. Dimostrano la nostra maestria nella macerazione di piante aromatiche e nella loro distillazione. Tenendo presente il disciplinare odierno, la differenza fra questi ed il gin classico, come noi lo conosciamo, era una dolcificazione più marcata, ma il metodo produttivo era assolutamente uguale. Ma non mancano anche rosoli secchi, privi di zucchero, più vicini ad una concezione moderna del gin. Semplicemente rispondevano ad esigenze diverse. I primi erano voluttuari, i secondi a scopo medico, soprattutto digestivo e diuretico. In alcuni testi italiani infatti si fa notare come il ginepro fosse soprattutto presente negli scaffali delle farmacie e nelle farmacopee.
E poi cos’è successo?
Fuori il rosolio dentro il gin
Non essendo possibile dimostrare in maniera inconfutabile che il gin ebbe i natali in Italia quello che si può fare è supporre.
Essendo questi liquori la tipologia vincente di prodotto, nonostante si parlasse già di gin o geneva, gli autori italiani di fine Settecento, decisero di non cambiare il nome al distillato perdendo, di fatto, la possibilità di mantenere la paternità della tipologia, per via di un declino di notorietà dei rosoli causato dall’avvento dei vini aromatizzati. Il successo della scuola inglese e la successiva esplosione in America della miscelazione contribuirono a fare del gin uno dei suoi cavalli di battaglia. E così nei manuali italiani di distillazione di metà Ottocento iniziò a comparire la parola Gin ed a scomparire quella di rosolio. L’Inghilterra e l’Olanda, con la loro potenza commerciale, imposero i loro distillati di ginepro sia nelle loro colonie che al di fuori. Una tradizione che diverrà, almeno sulla paternità delle origini, quasi totalmente olandese ed anglofona fra i due conflitti mondiali e dominio totale nel secondo Dopoguerra. I testi italiani, a quel punto, si dimenticheranno completamente dei trascorsi medioevali alchemici e rinascimentali dei nostri liquoristi e maestri di alambicco, ed accetteranno la paternità nord europea. Nessuno dei nostri autori cercò una timida difesa, analizzando manuali e farmacopee italiane sull’argomento antecedenti alla Prima guerra mondiale, come si evince semplicemente sfogliando la bibliografia di molti di questi. Perché, se è vero che non è possibile dimostrare che il gin ebbe i natali in Italia, non si può negare che la nostra nazione giocò un ruolo principale nella creazione di distillati di ginepro ma che ad oggi sembra dimenticato. Quella che molti considerano una moda, in realtà è una riscoperta di un prodotto ancestrale presente nel nostro DNA da secoli. La nascita del fenomeno del gin italiano ha radici profonde e non si basa sull’improvvisazione.
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