Il grande inganno del John Collins. Storia e preparazione

di Fulvio Piccinino


 

Il John Collins è tra le decine di migliaia di cocktail esistenti al mondo con base alcolica gin e, se non si conoscesse la data della prima codifica, il 1882, la sua formula risulterebbe oltretutto banale. Infatti il suo bilanciamento dolce acido con zucchero e succo di limone è probabilmente il più sfruttato in assoluto nella storia della miscelazione, secondo solo all’abbinamento con il vermouth.
Il primo a pensarla così, pur riconoscendo di trovarsi di fronte ad una pietra miliare e ad una icona della miscelazione classica, è sicuramente David Embury, appassionato di cocktail e scrittore dalla penna dissacrante ed ironica. Nella sua pietra miliare “The fine art of mixing drinks” del 1948, liquida in maniera lapidaria il drink e lo definisce come “una limonata fatta con acqua ed addizionata di gin”. E prosegue cercando di spiegare la confusione che spesso regna sui ricettari: “Originariamente lì erano solo due fratelli nella famiglia dei Collins, Tom e John. Negli ultimi anni tuttavia sono apparsi sulla scena Pedro, Pierre, Sandy, Mike, Jack e molti altri i cui nomi non sono stati ancora ufficialmente registrati nella fonte battesimale. I Collins originali erano sempre fatti con gin ma mai con il London dry, lo stesso che è praticamente sempre usato per fare un Collins oggi.”

 

Tom e John Collins
Per fare un po’ di chiarezza, il Tom Collins era fatto con un gin Old Tom, lo stile vincente dell’era vittoriana (età a cui corrisponde la creazione, almeno secondo la teoria ufficiale), mentre il John era prodotto con un dutch jenever, il progenitore del gin. Solo successivamente, con il calo di consensi delle due tipologie e la cessata produzione di molti marchi, l’ingrediente principale fu cambiato in un London Dry, lo stile vincente del Secondo dopoguerra.
Degli altri nomi sappiamo solo le ricette di alcuni, che si trovano su libri di miscelazione coevi a quello di Embury. Ovviamente erano declinati con distillati diversi i cui nomi erano evocativi: il Pedro con il rum bianco, il Pierre con il cognac, il Jack con il calvados (Applejack, il distillato di mele), a cui si aggiungono il Joe C. con la vodka, ed il Captain C. con il whisky canadese.

 

Storia del John Collins
Come sempre nella ricerca storica, quando siamo di fronte alle ricette ottocentesche, si accavallano le versioni. Secondo alcuni ricercatori, il cocktail fu creato verso la fine dell’Ottocento da John Collins, barman del noto “Limmer’s Old House” di Londra. Il nostro barman non fece molto sforzo, prendendo spunto dal Gin Punch, specialità del bar dal 1814, un riuscito mix di zucchero, succo di limone e liquore alle scorze di arancia la cui ricetta si trova con frequenza nei testi di miscelazione anche italiani fino al 1920. Di fatto un cocktail della casa, prodotto in una boule, che prese il nome del barman che lo servì con maggior successo in un bicchiere decorato, come si racconta in una filastrocca scritta per lui: “Il mio nome è John Collins, capo cameriere di Limmer, (…) il signor Frank beve sempre il mio gin punch quando fuma (…)”.

La prima versione fu composta utilizzando un Old Tom, lo stile egemone del periodo, la cui caratteristica è di avere un sottofondo dolce dovuto alla presenza importante di liquirizia nella ricetta. Quindi potrebbe essere che il nome sia stato travisato in Tom per via dell’ingrediente, mantenendo John per il jenever e poi per il London. Il cocktail, nelle due versioni, fu codificato da Harry Johnson nel 1882, mentre la Bartenders Guide di Jerry Thomas del 1887 ne codifica ben tre, tutti con il nome di Tom ma con tre distillati diversi, whisky, brandy e gin, mentre il libro di Stuart del 1904 ristabilisce l’ordine di quanto scritto sopra.

Altre versioni invece portano Oltreoceano, dove le spiegazioni sul nome non sono legate al suo creatore ma a quella che fu definita The Great Tom Collins Hoax, ossia il grande inganno. Da fonti giornalistiche dell’epoca sappiamo che a quel tempo dire “Hai mica visto Tom Collins?” significava parlare di una cosa che non esisteva, priva di fondamento. Questo modo di dire nacque nel 1874, a seguito di una colossale burla, organizzata dal New York Herald, che pubblicò un articolo in cui si invitava la popolazione a fare molta attenzione, poiché dallo zoo erano fuggite decine di belve feroci che potevano nascondersi ovunque. Il giornale riferiva di un leone dentro una chiesa e di un rinoceronte che scorrazzava nei tunnel delle fogne. La cittadinanza fu presa dal panico, prese d’assalto i telefoni delle stazioni di polizia, fino a che non si capì che era un colossale scherzo; il giornalista che firmò l’articolo si chiamava Tom Collins. Nemmeno a dirlo, nei giorni successivi l’Herald affermò che non aveva mai avuto il signor Collins alle loro dipendenze. Da questo prese spunto un ulteriore burla, completamente diversa, il cui finale era però identico: il personaggio immaginario di Tom Collins. In pratica si diceva ad un amico che un tale Tom Collins, personaggio dubbio, arrogante e con grandi amicizie, aveva parlato male di lui o che dovesse dirgli cose riservate. L’appuntamento era in un bar, ovviamente conosciuto. Una volta che ci si faceva annunciare, si chiedeva al barman se ci fosse un Tom Collins ma non si riceveva alcuna risposta. E da lì prese spunto la nascita del cocktail che veniva servito all’ignara vittima dello scherzo, affermando che l’unico Tom Collins del bar fosse quello. Ma la scarsità di prove a disposizione su questa tesi potrebbe far pensare che tutto questo sia uno scherzo nello scherzo.

 

Ingredienti del John Collins

4,5 cl gin

3 cl succo limone

1,5 cl zucchero

6 cl soda

ciliegia al maraschino

scorza di limone

 

Preparazione

L’impostazione gustativa del cocktail e la semplice miscelazione nel bicchiere non ne fanno un drink di successo dietro al banco. I barman spesso gli preferiscono il Gin Fizz che, pur avendo i medesimi ingredienti, permette una parentesi coreografica con la shakerata, esclusa la soda. Questo per ricordare quanto sostenuto nel 1936 da Elvezio Grassi, secondo il quale se un cocktail non era agitato era un semplice miscuglio di ingredienti.
La preparazione infatti prevede il solo rimescolamento degli ingredienti all’interno di un tumbler alto riempito di ghiaccio, come si conviene al servizio di un punch. A differenza del Fizz, oltre alla fetta di limone, la decorazione prevede una ciliegia al maraschino, una probabile aggiunta postuma che non ha riscontri sui testi storici.

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