Barman Boomer e Millennial alla prova del Gin Tonic: cosa è cambiato?

di Fulvio Piccinino


Quante azioni vengono fatte nella preparazione di un cocktail, spesso per moda o per sentito dire, senza sapere che queste possono far sviare dalla ricetta originale o variare il profilo organolettico dello stesso?

Come possiamo dimenticare la famosa diatriba del Mojito, scoppiata nel primo decennio del Duemila, fra chi lo eseguiva pestato come una caipirinha, credendo di essere nel giusto e chi, a costo di vedersi tornare indietro dieci a sera, lo preparava con succo di lime e zucchero di canna bianco?
La domanda ricorrente era se Mojito fosse un pestato o un Collins con menta ed alimentò discussioni piuttosto accese sui blog di Facebook dedicati ai bartender. La verità era che pestando il lime e spesso anche la menta si finiva per dare un finale amaricante e vegetale al cocktail, ben lontano dai delicati ricordi di menta e della piacevole sensazione acida e fresca dell’originale.

Oggi invece il cocktail “incriminato” è il Gin Tonic, il best seller del momento, Mister Miliardo, tanti ne sono stati fatti nel Regno Unito secondo un indagine pre pandemia del 2019.
Un cocktail che ha visto un’evoluzione nella sua preparazione partita dalla Spagna dove nacquero i primi Gin Tonic Bar. Una vera e propria escalation con i primi prodotti premium apparsi sulla scena a partire dal 2002 con una progressiva saturazione dal 2008 al 2011 che ebbe la sua consacrazione finale con il primo Gin Day del 2013° Milano. Mentre dal 2003, con la nascita di Fever Tree abbiamo assistito alla crescita parallela delle acque toniche che hanno moltiplicato le possibilità di abbinamento.

Prima di iniziare la disamina è  doveroso dire che nessuna ricetta di cocktail è scritta sulla pietra e che questa si adatta all’epoca in cui si trova, testimonianza ne siano le 12 ricette di Americano presenti sul Mille Misture di Elvezio Grassi.
Infine quanto scritto è del tutto opinabile e va detto che se i riti eseguiti, anche se potenzialmente sbagliati, sono richiesti o graditi al cliente e soprattutto fanno incassare, vanno benissimo.

Partiamo dalle basi dei barman boomer.

Una volta il Gin Tonic si preparava in un tumbler alto con abbondanti cubetti di ghiaccio cristallino e una dose di gin di 4 cl, come recitano tutti i manuali di miscelazione.

Questo perché il gin di riferimento, parlando di cocktail bar di una certa levatura e non di discoteche, era a 47 gradi e spesso si proponeva anche un Navy Strenght a 57. Nella maggioranza dei bar l’assortimento era composto da quattro referenze, tutte di scuola inglese: un gin da linea e tre utilizzati solo su richiesta del cliente, i cosiddetti premium categoria che con l’arrivo della bottiglia azzurra di Bombay Sapphire, alla fine degli anni 90, fu progressivamente rivoluzionata.

All’interno del bicchiere trovavano posto una cannuccia, solitamente non utilizzata dai bevitori più esperti, ed uno stirrer con cui mescolare l’acqua tonica che era portata rigorosamente a parte.
Su quest’ultima la proposta era piuttosto ristretta: si andava dall’italiana Recoaro alle straniere Kinley e Schweppes.
A scelta si poteva mettere una fetta di limone o una scorza di esso. Spesso la fetta o meglio uno spicchio non era all’interno del liquido ma pizzicato sul bordo in modo che il cliente potesse decidere o meno di spremerlo. I bar più alla moda, sull’onda del successo di Mojito e Caipirnha, avevano bandito il limone e gli preferivano il lime. Spesso l’errore consisteva nel fatto che il barman spremeva lo spicchio nel bicchiere lasciandolo poi cadere nello stesso apportando acidità non necessaria e un’estetica discutibile.

Il rito della preparazione era tutto del cliente. Prevedeva una prima diluizione, solitamente 1 a 1, a cui seguiva  un breve sorso, per apprezzare le note aromatiche del gin e al sua forza alcolica. Dopo questa “valutazione” seguiva la diluizione completa del gin e una bella rimescolata.

Solitamente al cliente veniva portato anche un tovagliolino di servizio su cui appoggiare lo stirrer, la fetta di limone se non gradita e la cannuccia che impediva due fondamentali piaceri: il contatto fra labbra e cubetti di ghiaccio e l’inspirazione con il naso, prima del sorso, per apprezzare le fresche note di ginepro che emergevano da bicchiere grazie alla presenza dell’anidride carbonica.

Passiamo ora ai millenial il cui compito è decisamente più difficile rispetto ai boomer poiché il numero dei gin si è centuplicato così come quello delle toniche aumentando a dismisura le opzioni di scelta e di servizio.

Oggi il Gin Tonic solitamente viene servito in spettacolari e capienti ballon da vino già preparato.
Il precursore di questa moda potrebbe essere stato il ristorante El Bulli che prese a servire il gin tonic come digestivo nei calici riservati ai grandi vini.
All’interno del bicchiere, insieme alle cannucce, finalmente ecologiche, spesso trovano posto erbe aromatiche che nella migliore delle ipotesi sono presenti nella ricetta mentre nella peggiore vanno ad aumentarne la complessità senza che questa sia stata richiesta.

Anche se la trovata estetica delle spezie o dei rametti di erbe aromatiche è di sicuro effetto ed è sicuramente più coreografica di una fetta di limone, siamo sicuri che un master distiller che solitamente impiega mesi, se non anni, a trovare il bilanciamento perfetto delle note aromatiche presenti nel gin, sarebbe felice se una di queste spiccasse si più o addirittura si sommasse ad esse? Probabilmente no. Soprattutto se le nostre decorazioni contengono oli essenziali che risultano piuttosto evidenti al naso, come ad esempio un ciuffo di menta, esteticamente stupendo, ma in grado di coprire qualunque profumo.
Anche la più comune delle decorazioni, la scorze di agrume andrebbe di piccole dimensioni per non interferire eccessivamente con il drink. Se preferiamo prepararne una grande, sempre per ragioni sceniche, questa non dovrebbero essere eccessivamente strizzata sul drink per evitare che il nostro gin tonic assomigli più ad un limoncello.

Se la scelta dovesse cadere su altri frutti o erbe aromatiche il loro utilizzo andrebbe ragionato sulla base del  principio di concordanza o contrapposizione caro ai sommelier che abbinano cibo e vino.
A questo si giunge analizzando la formula del gin, se scritta in retro etichetta o sul sito dell’azienda, o con assaggi mirati tesi a comprendere quali siano le note salienti. Da qui deve poi partire uno studio ponderato del menù con le proposte di abbinamento che potrebbero stupire il cliente molto positivamente.

Con un gin tradizionale, con un numero limitato di erbe e spezie, potrò permettermi una tonica più ricca che completi il suo profilo, così come scoperto che il mio cliente ha scelto un distillato debole di toni agrumati potrò compensarli con una versione mediterranea.

Ma se la scelta cade su un gin che fa del limonene (il terpene presente nell’olio essenziale di molti agrumi) la sua firma evidente probabilmente dovrò evitare quest’ultima opzione per evitare di fare un Gin Tonic che rassomigli di più ad una gazzosa.

Infine a meno che il mio cliente non ami i gusti barocchi, sarebbe da evitare l’abbinamento con un gin che fa della ricchezza botanica la sua bandiera con un acqua tonica con la medesima filosofia onde evitare di comporre una miscela in cui, gioco forza, tutto finirà mischiato in un bouquet indecifrabile.

Circa il servizio dell’acqua tonica sarebbe da evitare di farla scorrere sul manico del cucchiaio da barman.
A parte l’effetto scenico sicuramente in grado di colpire chi sta al banco, si passerà allo sconcerto qualora lo spoon sia poi usato immediatamente dopo per mescolare il cocktail.

Questo alimenterà il dubbio nel cliente che l’operazione serva, oltre che per veicolare la tonica all’interno del bicchiere con classe ed eleganza, a lavare il manico dello stesso senza l’ausilio della lavastoviglie.

Cosa che metterà in allarme il cliente sui criteri igienici generali del vostro banco.

Tutte queste puntualizzazioni non nascono per creare polemiche ma per far ragionare sulle proprie azioni come nel caso del throwing, accolto con grande entusiasmo e spesso usato a sproposito.

La sua reiterata azione che ha sicuramente un effetto scenico importante sui clienti, ha come risultato finale una eccessiva diluizione del cocktail.
Mentre se usato correttamente e su determinati prodotti ha effetti sicuramente positivi come dimostra il servizio dello sherry con la venencia che ossigena il vino dando spettacolo.
Pertanto occorre ragionare, fare ricerca ed avere sempre ben chiaro cosa si vuole ottenere lasciando da parte l’improvvisazione e la voglia di stupire ad ogni costo ben sapendo che l’ospitalità è la cosa più importante per un locale.

Cin Cin.






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