Margarita, storia di un classico della miscelazione

di Fulvio Piccinino


Ingredienti

3,5 cl tequila bianca

1,5 cl Cointreau o Triple Sec

2 cl succo di lime

sale fino

 

Alle origini del Margarita
Il Margarita si è guadagnato in pochissimo tempo un posto nell’olimpo dei cocktail, infatti nel 2019 è stato il sesto cocktail più bevuto al mondo.
Un risultato incredibile per un drink, nato nel Secondo dopoguerra, il cui distillato base non era certo in cima alle preferenze dei consumatori fino a qualche decennio fa, quanto meno in Europa.
Infatti questo successo è soprattutto figlio dell’incremento turistico del Messico, divenuto la meta esotica preferita degli americani (e non solo, ricordando il film Puerto Escondido), che ha marciato di pari passo con la diffusione del tequila sugli scaffali dei bar.
Agli inizi degli anni Duemila, erano ben pochi i locali che offrivano più di una etichetta ai loro clienti, e la maggior parte delle consumazioni era composta da prodotti commerciali proposti nel ritual Sale&Limone, con quest’ultimo che aveva il compito di coprire gli evidenti sentori acetici di alcune di esse. Oggi le cose sono molto cambiate e la qualità media dei prodotti si è di molto elevata, anche grazie all’ingresso di alcuni produttori che hanno attuato un percorso virtuoso alla ricerca della qualità.
Veniamo al cocktail: la prima codifica del Margarita arriva solo nel 1953 grazie alla rivista “Esquire”, che in un suo articolo di costume ne riporta la formula.
La ricetta, a differenza del nome, è invece presente già dagli anni Trenta, infatti sul libro “Café Royal Cocktail Book” del 1937 compare il Picador composto da ¼ di succo di lime o limone, ¼ di Cointreau ed un ½ di Tequila. Leggendo le quantità e gli ingredienti, non ci sono dubbi: siamo di fronte all’antenato del Margarita ma con un nome decisamente più triste, pertanto possiamo giustificarne la presa in prestito da parte del nuovo autore. Il copiare, o per meglio dire l’ispirarsi, ad una ricetta è un caso tutt’altro che raro nel mondo del bar, e ne abbiamo avuto più di un esempio leggendo gli articoli precedenti.
Di poco posteriore, anche la codifica su un testo italiano che però ha una differenza sostanziale nel bilanciamento rispetto alla versione attuale. La formula è scritta di proprio pugno dall’indimenticato Angelo Zola su un blocco di appunti con numerose ricette. Il prezioso quaderno viene ritrovato a Viverone presso il suo bar, il Country Club, e dato alle stampe in pochissime copie nel 2008 con il titolo “L’angelo dello Shaker” divenendo così l’oggetto del desiderio di molti barman. Le dosi della ricetta di Zola sono 2,5 cl di tequila, 2,5 di succo di lime e 1,5 di Cointreau. Il risultato è una linea di gusto dominato dalla parte acida che ricorda il rituale con sale e limone.

Nelle liste Iba viene codificato come Contemporary Classic: il Margarita, infatti, appartiene al filone fortunato degli altrettanto famosi Sidecar e White Lady, dove una base alcolica si unisce con successo a coadiuvante agli agrumi. Ma, almeno in questo caso, Henry Mc Elhone non c’entra, infatti ci sono ben altri contendenti alla paternità di questo eccezionale cocktail.
Di fatto il Margarita è un Tequila Daisy, nome con cui venne codificato all’inizio della sua “carriera”, ossia la categoria di cocktail che prevede l’uso di una base alcolica, un liquore, solitamente alla scorza di arancia (o uno sciroppo di frutta/bitter aromatico) e succo di limone servito con ghiaccio tritato.

 

Partiamo quindi dalla ricostruzione storica, che mai come questa volta risulta alquanto difficile. Ricordiamo infatti che la vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è sempre orfana. E mai come in questo caso gli aspiranti sono oltremodo numerosi.
Sulle origini è tuttora in corso un acceso discorso con ben quattro teorie a giocarsi la paternità.  E tutte hanno a che vedere con il famoso motto “cherchez la femme”, che noi vorremmo parafrasare in “spesso dietro ad un grande cocktail c’è una grande donna”.  Si sa che i barman sono dei rubacuori e che spesso per conquistare la loro bella gli dedicano deliziose pozioni.

La prima teoria vuole che il Margarita nasca in onore della stellina del cinema hollywoodiano Marijoire King, ospite dell’Hotel La Gloria Ranch a Rosarito, in Messico. Il suo creatore è il barman, nonché proprietario, Carlos Danny Herrera e la leggenda vuole che questi, innamoratosi di lei, le abbia dedicato il cocktail. La vera storia sembra leggermente diversa. Infatti pare che l’attrice, grande estimatrice della tequila e al contempo poco amante del gin, suggerì lei stessa di sostituirlo con il distillato nazionale messicano nella preparazione di un classico White Lady. Il drink ebbe un ottimo successo fra gli avventori, e si decise di chiamarlo con il nome dell’attrice, Marijoire, che in messicano diventò Margarita.

Un’altra teoria è quella legata a Vernon Underwood, che chiese ad un barman di sua fiducia, tal Johnny Durlesser, che negli anni Trenta lavorava a Los Angeles, di creare un cocktail con la tequila Cuervo per il suo lancio negli Stati Uniti. Il nome dato al cocktail era quello di sua moglie Margaret di cui si dice fosse innamoratissimo.

Una terza teoria vuole che Daniel Negrete creò questo cocktail nel 1936 al Garci Crespo Hotel di Puebla in onore della sua ragazza di nome Margarita. Fra le altre cose la tradizione vuole che sia stato lui a creare la crusta di sale. Nel farlo, ricordate sempre di non farla su tutto il bordo ma solo metà, per evitare che il cliente che non gradisca (o che magari soffra di pressione alta) sia costretto comunque a rendere sapido il sorso.

 

Tommy’s Margarita
Una variante di grande successo è il Tommy’s Margarita, catalogato nelle liste Iba come New Era, che sostituisce il liquore con lo sciroppo di agave. La ricetta è composta da 6 cl di tequila (su alcuni testi una reposado), 3 cl di succo di lime, 1,5 cl di sciroppo di agave e 1,5 di acqua. Il drink fu creato nel 1987 da Julio Bermejo, che gli diede il nome del ristorante bar messicano di famiglia fondato nel 1965, riconosciuto da molti come uno dei primi tequila bar al mondo. 

In passato ebbe invece molto successo la versione frozen con fragole fresche, che per un certo periodo impazzò sui banchi bar e nelle discoteche di tutta Italia. Ma oggi, considerata la qualità raggiunta dalla tequila, pare un vero peccato coprirla visto che questo distillato sembra dare veramente il meglio di sé in compagnia degli agrumi. Non ci resta che brindare esclamando Viva Mexico!

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