Il Negroni ritrovato: Paolo Ponzo scopre la prima ricetta italiana

di Fulvio Piccinino


Il centenario del Negroni ed i suoi festeggiamenti hanno nuovamente rivitalizzato, se mai ce ne fosse stato il bisogno, l’attenzione su questa icona della miscelazione italiana. Il recente ritrovamento di due libri rari pubblicati prima del 1950, grazie alle ricerche del barman Paolo Ponzo, ha fatto da ciliegina ai recenti festeggiamenti fiorentini durante la Cocktail Week. Queste due opere aggiungono nuovo fascino ad una storia già divertente ed esaltante e raccontata ampiamente da Luca Picchi nel suo "Negroni una leggenda italiana".

Le nuove scoperte di Paolo Ponzo

L’anno di nascita ufficiale del Negroni viene fatto risalire al 1919. I libri sulla miscelazione italiana pubblicati in quel periodo sono due. Il primo è la "Guida del Barman" di Ferruccio Mazzon, del 1920: una raccolta di cocktail internazionali, con alcune interessanti ricette di bitter home made e la prima ricetta di Americano codificata in Italia. Il secondo libro è "Cocktail" di Pietro Grandi del 1927. L’opera, scritta in francese è molto vicina nella sua impostazione al libro di Elvezio Grassi "Mille Misture", con un’impronta autarchica e che riflette i dettami del regime fascista nelle ricette.

Bisognerà aspettare l’avvento di Aibes prima e le pubblicazioni di Zingales degli anni Settanta per avere altri ricettari. Un lungo intervallo di tempo, in qualche modo sospetto, che viene colmato dal ritrovamento di due testi grazie al lavoro di ricerca del barman Paolo Ponzo. Il primo è  il "Ricettario del barman" a cura di Elio Cavallari, pubblicato fra il 1945 ed il 1946. Il secondo è l’eccezionale "Cocktail Portfolio" di Amedeo Gandiglio, titolare del Chatam, un locale storico torinese, punto di riferimento degli appassionati di miscelazione, negli anni ‘70. Questo libro del 1947 fu illustrato da Ettore Sottsass, il più grande designer del Novecento e probabilmente pubblicato in poche copie.

A differenze dei libri di Elvezio Grassi e Pietro Grandi, di cui si hanno delle copie in possesso di barman o biblioteche, in questo caso si conosce una sola copia all’interno della biblioteca centrale di Firenze, mentre non risulta presente in nessuna di Torino, la città in cui è stato pubblicato. La particolarità che rende importante il ritrovamento di Ponzo è che questo libro contiene la prima ricetta di Negroni mai pubblicata in Italia!

La prima ricetta del Negroni pubblicata in Italia

Prima di questa scoperta, il “primato” della codifica spettava ad un menù della Floridita, la culla del Daiquiri, datato 1939, mentre in Europa apparteneva al libro El Bar, un ricettario scritto da Jacinto Sanfeliu Brucart nel 1949 e pubblicato a Madrid, dove compariva una ricetta di Negroni con: un quarto di vermouth rosso, un quarto di gin e due di bitter Campari.
Presenze per nulla scontate che dimostrano come il Negroni avesse varcato prima l’oceano e poi le Alpi, probabilmente grazie a qualche barman emigrato o a clienti entusiasti.
Il ritrovamento del libro di Gandiglio conferma come, alla fine della guerra, arrivi finalmente la codifica italiana, segno di un successo finalmente conclamato e maturato negli anni precedenti. Il Negroni dunque torna in Italia, come giusto che sia.

Il Negroni dal richiamo africano

La particolarità del libro di Gandiglio sta nel fatto che sono presenti due diverse ricette del cocktail, una delle quali chiamata “Asmara o Negroni”. Questo è un indizio fondamentale del fatto che queste ricette non siano dei primi anni del Secondo Dopoguerra, periodo in cui il libro fu pubblicato, ma precedenti. Asmara infatti, attuale capitale dell’Eritrea, fu una colonia italiana fino al 1941. Probabilmente le ristrettezze economiche e la situazione non idilliaca dell’Italia in guerra, che ad altro doveva pensare che a mescolare cocktail, spinse Gandiglio a pubblicare la sua raccolta successivamente, nel 1947, includendo però un classico dal chiaro stampo coloniale. La ricetta dell’Asmara Negroni è questa: qualche goccia di Bitter Campari, 2/3 di Gordon Gin e 1/3 di vermouth bianco Grassotti.

Gandiglio usa nuovamente, così come per la ricetta del Negroni classico, il vermouth della storica marca con sede a Rivarolo Canavese, scomparsa negli anni Settanta, segno di un affezionamento al marchio o riconducibile ad una sponsorizzazione. L’azienda non fu mai nel novero dei grandi produttori, ma durante il Ventennio Fascista, e qui un'altra prova della datazione del libro, ebbe una buona presenza su giornali e periodici, diventando un marchio conosciuto.

L’uso del vermouth bianco e un ridimensionamento della dose di Bitter Campari, che nella ricetta del Negroni troviamo in pari quantità come da lezione classica Aibes, non è altro che un adattamento al clima africano, un twist come diremmo oggi. E non cambia una virgola sulla genesi del cocktail, che nasce con vermouth rosso. Il vermouth bianco infatti era il solo venduto nelle colonie, come dimostrano le pubblicità di Antonio Parigi con un Ascaro in bella evidenza, o il cammello in etichetta di Bordiga, per via del suo profilo aromatico più leggero e beverino.

Ancora una volta non dobbiamo stupirci della ricetta ed ancora una volta ritroviamo un riscontro su l’Heure du Cocktail, ricettario dedicato all’arte della miscelazione edito nel 1927 dalla Paris Societe Mutuelle, segno che il vermouth bianco era usato e che le ricette in qualche modo correvano nell’aria. La miscela è pressoché speculare, eseguita da un barman ancora una volta italiano, che esegue il Loving con mezza dose di gin, mezza dose di vermouth bianco Gancia e gocce di Bitter Campari. Cambia la marca del vino aromatizzato, questo perché nel 1927 Gancia opera un grandissimo sforzo pubblicitario, evidente se si sfogliano le Domeniche del Corriere o L’Illustrazione Italiana del periodo, segnalandosi come uno dei vermouth bianchi più venduti. Una scoperta sensazionale, di cui dobbiamo ringraziare Paolo e la sua perseveranza, un altro tassello nella ricerca delle origini che non si deve mai fermare, spinta dalla passione e che ci dimostra che alla fine, è il caso di dire, il colpo di scena è sempre dietro l’angolo.



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