Il ritorno (annunciato) del Rum

di Fulvio Piccinino


Fra i tanti ritorni annunciati, ma spesso poi disattesi dal mercato, sembra che quello del rum sia fra i più concreti. Come non ricordare le rumerie dei primi anni Duemila e dei locali Tiki poi, dislocati nei quartieri della movida, con i comodi divani e le pale sul soffitto che avevano il merito di farti sentire subito in vacanza.

Percentuali a doppia cifra certificano come il distillato di canna da zucchero stia tornando prepotentemente alla ribalta dopo anni di dominio del gin per il quale, è il caso di dire, sembra non esserci ancora il picco massimo. Le cassandre che ogni anno annunciano la fine di questo distillato saranno ancora una volta smentite in quanto i dati italiani attuali proiettano una crescita quasi doppia delle importazioni dal Regno Unito. E’ quindi il caso di dire che, dopo qualche anno di ricerca della connotazione più originale, spesso fuori luogo,è in atto una riscoperta della tradizione.

Ma torniamo al rum perché anche qui, a livello internazionale, la crescita del distillato di canna da zucchero sembra essere orientata verso questo trend, ovvero il super premium tradizionale.
Iniziamo pertanto ad analizzare quanto accade fuori dall’Italia per poi focalizzarci sul Bel Paese per capire se, come accaduto per il gin, seguiremo l’onda lunga.
In Gran Bretagna il rum ha recentemente superato il whisky come quota percentuale a consumo per un crescente interesse dei giovani, in quanto la metà di coloro i quali ne hanno bevuto almeno un bicchiere nell’ultimo anno ha un’età compresa fra i 18 ed i 34 anni.

L’analisi dei trend delle piattaforme on line è sempre molto interessante poiché è priva di filtri, sia esso il venditore o l’ambassador del prodotto, sia il barman dietro al banco.
Master of Malt, uno dei più importanti siti di vendita on line, segnalava una crescita di due punti, dal 9 all’11% delle richieste di rum premium nel 2022 rispetto al precedente.
La voglia di caraibi e sole si conferma con il risultato della tequila che al momento è il prodotto più “caldo” (è il caso di dire) con il 35% delle preferenze, seguito dal rum con il 33, bourbon con il 32, mentre come base alcolica di un cocktail il rum stacca nettamente il gin con un sonoro 34 a 17.
L’aumento dei consumi, rispetto a qualche anno fa, ha segnato anche un aumento a valore, infatti il rum standard, cosiddetto da linea, ha segnato una perdita che, seppur contenuta entro il 2%, è un segnale importante. Questo vuol dire che è aumentato il consumo liscio ed anche per i cocktail si iniziano ad adottare prodotti di una fascia più alta spesso su richiesta del consumatore. Ed anche in questo caso il benefico influsso del gin che ha sviluppato curiosità e voglia di conoscenza nel cliente, va riconosciuto. Il rum infatti aveva sempre avuto un vissuto povero, quanto meno nei prodotti da miscelazione, ed anche nel settore premium aveva sempre patito questa differenza nei confronti del whisky che vantava bottiglie dai costi sicuramente più elevati.
Pertanto, seppur con prezzi più contenuti rispetto alle bottiglie più quotate di malto, il rum sembra aver intrapreso la marcia verso riserve dal valore superiore. La collezionabilità delle bottiglie sembra essere il nuovo fattore vincente nei nuovi consumatori di rum, elemento tipico del trend positivo delle release dei malti scozzesi e giapponesi. Fra gli elementi del successo rientrano sicuramente gli speziati ed aromatizzati di alta gamma che in Europa hanno perso la classificazione a causa di un’edulcorazione superiore ai 20 grammi litro di zucchero ma che rimangono, nella mente del consumatore, anche in virtù della classificazione precedente, dei rum.  Ad oggi, nel Regno Unito rappresentano il 49% della categoria, ancora in crescita rispetto al 2021 di ben 3 punti. A loro va iscritto sicuramente il successo di aver aperto un mercato dei giovani che sembravano poco entusiasti del profilo organolettico dei distillati tradizionali spesso ricchi di note acetiche e pungenti di eugenolo (composto aromatico che ricorda il chiodo di garofano).

Ed è per questo che fra i possibili trend in crescita del futuro troviamo gli agricoli, caratterizzati da un profilo gustativo particolare non gradito a tutti, che potrebbero essere la vera sorpresa del futuro. Infatti i giovani consumatori dopo essersi aperti al gusto del rum grazie a più facili speziati ed edulcorati rum ed averlo fatto proprio, potrebbero essere interessati a provare altre declinazioni di gusto, virando verso su questi prodotti decisamente più intensi e complessi, con una elevata percentuale di congeneri. Anche qui troviamo altre analogie, quanto meno in Italia, pensando al successo dei single malt, spesso torbati e dai profumi intensi, che seguì quello dei meno costosi e delicati blended lanciati dalle pubblicità.
Chiudiamo il discorso estero con i botanical rum che, figli del successo del gin e dei prodotti speziati, hanno provato ad imporre aromatizzazioni senza il supporto dello zucchero ed il cui cammino sembra sicuramente più difficoltoso dei cugini edulcorati per una maggiore difficoltà di beva..

Ma vediamo cosa accade in Italia.
Facendo una rapida indagine fra i giovani si scopre che il rum è sicuramente il prodotto più richiesto insieme al tequila in una generale voglia di prodotti caraibici, festaioli ed adatti alla miscelazione ed ha una conoscenza spontanea molto elevata rispetto ad altri distillati. Infatti il gin raccoglie meno consensi per via del su gusto “amaro”, così come il whisky ben più adatto a palati più adulti.
Andando più in profondità si scopre che il rum degustato dai ragazzi dai 18 ai 24 anni spesso appartiene alla categoria degli aromatizzati o comunque a tendenza dolce di scuola spagnola come già visto in precedenza. Questa categoria ha avuto anche il merito di porre attenzione sui paesi di origine della canna da zucchero, originaria del sud est asiatico, decentrando il dominio caraibico che aveva caratterizzato i decenni precedenti e che il lancio dell’Arak di Batavia non aveva minimamente scalfito.
Il successo del rum in Italia è, come visto per il mercato inglese, trainato dalla miscelazione. Ormai è un dato di fatto che il cocktail sia il protagonista del mercato. Qualunque prodotto presentato ad una platea di barman deve avere almeno un paio di ricette in unione ad altri prodotti e la domanda più comune è “cosa ci posso fare?” Sono caduti i taboo, pertanto, anche un cognac pregiato può finire mescolato ad un energy drink.
Ed anche nella miscelazione italiana, dopo sua maestà il gin, troviamo nuovamente il rum che ha superato la vodka, dopo anni di predominio soprattutto grazie al successo del Moscow Mule.
Pina Colada, Rum Cooler ed il redivivo Mojito suonano la carica del ritorno del rum e con l’arrivo dell’estate non si farà nient’altro che consolidare il trend su tutte le spiagge italiane.

E su questo bisogna fare i complimenti agli uomini del marketing del rum che sono stati in grado di trasformare un prodotto dalla storia tristissima fatta di schiavismo e sfruttamento nel simbolo dell’estate e delle vacanze per eccellenza. Isole da sogno piene di sole, spiagge e palme sono nell’immaginario collettivo del consumatore e nessun altro distillato, escluso forse la tequila potrà mai prendere il suo posto. E qui sta la base del suo successo. Un’ estrema versatilità, una gamma pressoché infinita che permette spaziare in decine stili ed alambicchi declinata su prodotti giovani ed invecchiati in grado di dare, oggi così come dagli anni Trenta in poi, emozioni suggestive e determinati in grado di far vivere e rivivere in ogni momento le nostre vacanze intorno ad un bicchiere.
E di questi tempi non è una cosa da poco.  Cin cin.

 FONTI:

  • Spirits Business
  • Giornale dei Distillatori
  • Assodistill

 

 

  • #partesaperglispirits





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