Moscow Mule ed il sogno americano

di Fulvio Piccinino


Ingredienti

4,5 cl di vodka Smirnoff (per rispettare la storia del cocktail)

12 cl di ginger beer

0,5 cl di succo di lime

fetta di lime

ciuffo di menta facoltativo


Il Moscow Mule è un cocktail iconico per diversi motivi che, a ben guardare, racchiude in sé molti significati. Iniziamo con il dire che è l’esempio lampante che non bisogna mai arrendersi e che, se si crede nel proprio prodotto o, nel caso del bartender, nella propria idea di miscelazione, bisogna perseverare. Spesso le buone idee sono dietro l’angolo ed arrivano quando si è prossimi alla disperazione. Si dice infatti che si ragiona meglio con la pancia piena ma spesso fare di necessità virtù è la chiave del successo. Potremmo continuare affermando che è la dimostrazione che solo il gruppo vince e che i singoli da soli possono fare ben poco nel mercato di oggi. E’ infine l’applicazione fattiva della frase che scrisse Hemingway ne “Il Vecchio e il mare”: “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai”. Il Mulo Moscovita è infatti tutto questo: l’unione di tre prodotti “perdenti” singolarmente, di tre imprenditori di diverse estrazioni ed esperienze, che ebbero in questo cocktail la realizzazione del sogno americano applicato alla miscelazione.

Il Moscow Mule nacque nel 1947 per assecondare il rilancio sul mercato americano della vodka Smirnoff, che soffriva la concorrenza di whisky e gin. Secondo la tradizione, il cocktail fu creato da tre uomini di affari, in una stanza del Chatham Hotel di New York. Il motivo della riunione? Fare un brainstorming (si dice così oggi), ossia mettere sul tavolo le idee e le strategie più disparate per i loro prodotti, senza seguire necessariamente una logica.
Il primo era John Martin, responsabile di un grosso distributore di bevande alcoliche e cibo, la Heublein Brothers; il secondo Jack Morgan, proprietario della Cock and Bull Products, produttore di bibite fra le quali spiccava la poco venduta Ginger Beer, nonché proprietario di un noto ristorante a Los Angeles con lo stesso marchio; il terzo Rudolf Kunett (al secolo Kunetchansky), presidente della Smirnoff America. La vodka, il distillato neutro per eccellenza, era in procinto di essere rilanciata negli Stati Uniti dopo la poca fortuna riscossa anche in Europa, troppo abituata alle acquaviti ambrate ed ai gusti marcati. Rudolf con un’abile mossa di marketing si era assicurato, alla fine del Proibizionismo, la licenza di produzione in terra americana, ma complice l’arrivo del Secondo conflitto mondiale ed alcune scelte di marketing opinabili a livello di collocamento sul mercato (la vodka proposta come whisky bianco senza ricordare neanche lontanamente al gusto un moonshine artigianale), fino a tale data aveva accumulato solo perdite. Anche gli americani infatti continuavano a preferire al gusto pulito della vodka il robusto e gustoso bourbon invecchiato in botti di rovere bianco. Dopo diverse proposte, nacque quella vincente. Un esempio di co-marketing incredibile e travolgente fra due prodotti che non erano riusciti a sfondare. Il secondo ingrediente del cocktail era infatti la Ginger Beer che, con il suo gusto piccante, male si adattava in purezza ai palati americani e la cui giacenza preoccupava non poco il ristoratore. Anche il recipiente fu un recupero a basso costo. Il cocktail era infatti servito in tazze di rame, su idea dello stesso Morgan, in aperta rottura con il passato fatto di tumbler e coppe cocktail di vetro che facevano vedere il liquido. Anche in questo caso si trattava di un mezzo flop commerciale, infatti le goffe tazze panciute erano provenienti da uno stock che giaceva da mesi nel magazzino di una sua amica.

Il veicolo da traino per il successo del Mulo che prese a scalare le vette delle preferenze (come titolavano i giornali locali, giocando sul nome del cocktail) fu, di fatto, l’emulazione. Giocando su questo sentimento, i tre uomini di affari comprarono pagine intere dei quotidiani, che riempirono con foto di consumatori di Moscow Mule catturate durante le feste che loro stessi davano al ristorante. La gente, alla ricerca di un minuto di notorietà predetto da Andy Warhol, faceva a gara per essere fotografata con la tazza di rame mentre sorseggiava il cocktail per dire agli amici di “essere finito sul giornale”.

Visti i suoi natali, il Moscow Mule ebbe un testimonial d'eccezione: l'attore Woody Allen, newyorkese doc. La sua faccia allampanata compariva su decine di pubblicità e riportava alla mente i suoi personaggi paradossali la cui vita si svolgeva sullo sfondo della città che non dorme mai.

La preparazione è effettuata direttamente nella mug di rame, decorata con fetta di lime e un ciuffo di menta, facoltativo, mentre la fetta di cetriolo che prese piede per un certo periodo non ha nessuna attinenza storica con l’originale e sarebbe meglio evitarla. Ma se piacesse al cliente, chi siamo noi per impedirlo?

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