Bloody Mary. Storia e leggenda da Hemingway a Freddy King

di Fulvio Piccinino


Ingredienti

4,5 cl vodka

9 cl pomodoro

1,5 cl di succo di limone

2 gocce di tabasco

2 gocce di Worcestershire Sauce

un pizzico di sale di sedano

altro sale e pepe nero a piacere

fetta di limone facoltativa sul bordo del bicchiere

 

Preparazione

Questo cocktail è da sempre oggetto di grandi discussioni fra barman, nonostante alla fine non sia un best seller al banco (quanto meno se la nostra clientela non annovera qualche anglofono).
Le principali discussioni sono legate non tanto alla ricetta quanto alla preparazione, specie dopo l’avanzata del throwing, una tecnica di per sé spettacolare ma spesso usata senza criterio, se non quello di catturare lo sguardo del cliente. In pratica in nome dell’intrattenimento si è finito per annacquare un capolavoro che ha solo bisogno che i suoi ingredienti siano ben freddi. A detta dello scrivente, appassionato di questo cocktail, è sufficiente che vodka e succo di pomodoro siano in frigo e, se proprio vogliamo esercitare il mestiere del barman, possiamo fare un rapido passaggio nel mixing glass con ghiaccio cristallino. L’elemento fondamentale di questo cocktail è la pastosità e la fragranza, e chi ha ben compreso questa caratteristica spesso prepara la base di pomodoro in casa, frullando dei magnifici pachino o piennolo.

 

Storia

Passiamo ora alla storia, che presenta non pochi problemi di ricostruzione.
Questo cocktail porta il nome di Maria Tudor, regina d'Inghilterra, fervente cattolica che fu soprannominata dai protestanti “La sanguinaria” per le violente persecuzioni perpetrate nei loro confronti. La storia ci riporta ben 283 esecuzioni per eresia durante il suo regno. Secondo i primi libri di miscelazione italiani stampati nel secondo dopoguerra, il cocktail sarebbe stato creato negli anni Venti ma nessun autore, da Harry Craddock nel 1930 a Frank Meier nel 1936, cita questo cocktail nelle sue pietre miliari della miscelazione. Quindi questa opzione andrebbe scartata.
Dobbiamo avanzare le lancette del tempo a qualche decennio dopo.
La tradizione vuole sia stato un barman francese, Ferdinand Petiot, ad inventarlo modificando un precedente cocktail creato da George Jessel.
Il barman in questione lavorava al Saint Regis Hotel di New York e fra i suoi clienti c’era l’attore americano. Secondo altre fonti invece non ci sarebbe stata nessuna modifica, ma la ricetta originale sarebbe dello stesso Jessel, come egli stesso reclamò nel suo libro pubblicato nel 1975.
La ricetta di quest’ultimo, se fosse vera la versione di Petiot, risalirebbe al 1939 ed era un semplice Vodka e Pomodoro, praticamente in dosi uguali, un pick me up (in italiano potrebbe suonare come tiramisù) usato dalla sua compagnia teatrale, specie dopo estenuanti prove o come dopo sbronza della mattina. Lo sappiamo grazie ad un articolo dello stesso anno pubblicato sul Chicago Tribune, una rivista di gossip tenuta da un amico dell’attore Walter Wichell. Secondo la prima versione, Petiot lo modificò mescolando alla mistura base, così disse in un’intervista del 1964, quattro pizzichi di sale, due di pepe di cayenna, due di pepe nero, una generosa dose di salsa Worchester, succo di limone e un po’ di ghiaccio tritato. Onestamente il barman francese attribuì dei meriti a Jessel, ma reclamò il twist (oggi termine di gran moda) che rese il cocktail immortale e ben più complesso. Il nome, pur riferendosi alla regina, fu un omaggio di Petiot al soprannome di una cameriera irlandese dai capelli rossi, bella ma dai modi piuttosto bruschi, che lavorava al Bucket of Blood Saloon di Chicago.

Ma, come in tutte le storie che si rispettino, c’è sempre un colpo di scena o un terzo incomodo. Una terza versione circa l’invenzione del cocktail vede protagonista, potremmo dire ancora una volta, Ernest Hemigway. Dopo Mojito, Daiquiri e Martini Cocktail, lo scrittore americano potrebbe avere avuto un ruolo anche nel Bloody Mary. Nel 1925 soggiornava al Ritz di Parigi per un periodo di vacanza ed ispirazione. Da questa esperienza francese infatti nacque Festa Mobile, un libro che non ebbe molto successo a causa del carattere eccessivamente autobiografico. Sulle sue pagine, più che parlare di Bloody Mary, Hemingway scrisse diffusamente di bevute di birra fresca nei locali di Parigi e del suo profondo rapporto con la prima moglie Hedley Richardson. Lo scrittore americano utilizzava il Petit Bar come suo luogo di ritrovo preferito, insieme ad altri esponenti della Lost Generation, esuli, artisti e scrittori. Il bar del Ritz diventò successivamente l’Hemingway Cafè, in omaggio al profondo legame che lo scrittore ebbe con la struttura. Si narra che alla liberazione di Parigi, nell’agosto del 1944, uno dei primi clienti ad essere serviti fu proprio Hemingway, accompagnato dal colonnello David Bruce, che diventerà poi ambasciatore degli Stati Uniti in Francia. Fu a causa dello zelo della quarta moglie Mary Welsh, al limite del despotismo, che Hemingway intitolò il drink in questo modo. Un giorno arrivò al bar dicendo che la moglie l'aveva scoperto a causa dell’alito che sapeva di alcol, e che aveva ricevuto un ultimatum, quindi non avrebbe potuto bere nulla. A questo punto il barman Bernard Bertin Azimont propose a Hemingway un long drink con succo di pomodoro e vodka, aromatizzato da spezie che avrebbero coperto l’alito di alcol. Lo scrittore accettò il cocktail di buon grado. Il giorno dopo arrivò raggiante al bar dicendo “Quella maledetta di Mary non si è accorta di niente”, traducibile in “Bloody Mary”.

 

Varianti

Passiamo ora alle varianti. Il più famoso è sicuramente il Red Snapper, codificato poco dopo in un libro del 1941, Cocktail Guide di Crosby Gaiges. Ma anche qui c’è il colpo di scena, poiché la ricetta è esattamente quella del Bloody Mary con vodka. Secondo alcuni il nome sarebbe stato momentaneamente cambiato dallo stesso Petiot per via della volgarità, “bloody” è traducibile in maledetto, che esso portava per i borghesi puritani americani. Sarebbe stato lo stesso Astor, il proprietario dell’Hotel St Regis, appassionato pescatore (“red snapper”, dentice rosso) a decidere il nuovo nome. L’uso del gin sarebbe pertanto postuma e forse risalirebbe a quando il nome del cocktail a base vodka fu ripristinato alla fine del Puritanesimo. Ne abbiamo prova nel 1962, quando il London Magazine ci dice in un suo articolo che il Red Snapper è un Bloody Mary fatto con gin. A questo punto possiamo pensare che siano stati gli inglesi a declinare con il loro distillato nazionale un classico americano.

Un'altra codifica, sempre con vodka, arriva nel 1951 da Jack Towsend con vodka, pomodoro, succo di limone ed alcune gocce di angostura, seguita da quella ben più sagace di David Embury nel suo Fine art of Mixing del 1952 che afferma: “Un classico esempio di combinare in una pozione sia il veleno che l’antidoto”, a suffragare la trovata di Hemingway e la fama successiva di “salva sbornia”.

Numerose le varianti create nel proseguo della storia: il Bloody Maria con tequila, le cui prime notizie risalgono al 1972; ed il più recente Bloody Geisha con il sake; ed il Brown Mary con whiskey. La variante italiana del cocktail fu sperimentata con successo dallo scrivente nel 2009, aromatizzando una vodka biologica con origano pugliese, eliminando la salsa Worcester. La decorazione era composta da uno stecco dove erano infilzate 5 mozzarelle ciliegine con in cima un peperoncino rosso. A fianco veniva poi posto un ciuffo di basilico. Il nome fu Bloody Margherita, poiché all’aperitivo veniva servito con qualche pezzo di focaccia bianca a contorno a ricordare il profumo della famosa pizza.
Circa le fantasie a ricordare piatti di cucina, non manca quella di un bar newyorkese che lo allunga usando l’acqua di cottura delle vongole.

Nel film “Cocktail”, l’immortale capolavoro narrante la storia di un barman, divenuto nume tutelare di molti barman acrobatici, si vede il coprotagonista bere spesso il Red Eyes – un mix di succo di pomodoro, birra e rosso d'uovo.
Chiudiamo con il ricordo di Freddy King, uno dei più grandi chitarristi blues della storia ed al quindicesimo posto nella classifica di tutti i tempi, che durante i suoi concerti beveva esclusivamente questo cocktail.

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