La liquoristica in Italia

di Fulvio Piccinino


Rosoli, ratafià e vermouth rappresentano al meglio la tradizione italiana della liquoristica.

Sono il vero fiore all’occhiello della nostra produzione da sempre e, nonostante che il gin abbia rapito il cuore di molti produttori, mantengono ed in alcuni casi crescono a doppia cifra.

Partiamo con il definire cosa sono. Rosoli e ratafià sono liquori, pertanto devono avere più di 15 gradi alcolici e 100 grammi di zucchero per litro.
Quello che cambia è il metodo produttivo tradizionale, anche se a livello di legislazione europea questo sembra non interessare più di tanto, avendo generalizzato la presenza di aromatizzanti spaziando dall’origine agricola fino all’animale, riferendoci al latte ed i suoi derivati.
L’unica distinzione in essere è che, se la grammatura di zuccheri raggiunge i 250 grammi, si deve parlare di creme.

Nel caso del vermouth di cui non ripercorreremo la storia ma di cui daremo i parametri è un vino aromatizzato. Anche se sono passati cinque anni dall’approvazione del disciplinare Torino su cui sono stati spesi fiumi di inchiostro, ripetiamo nuovamente i parametri ribadendo che non è un vino fortificato anche se la presenza dell’alcol è obbligatoria.
Il Vermouth deve avere una percentuale minima del 75% di vino che nel caso del Torino deve essere al 100% italiano. Nella categoria Superiore ci deve essere una percentuale del 50% di vino piemontese. La gradazione minima è di 14,5 gradi che sale a 16 nel Torino ed a 17 nel Superiore.
Le artemisie sono obbligatorie ma nel Torino la quantità minima è di 0,5 grammi per litro, nel Superiore ci deve essere una seconda erba coltivata in Piemonte che solitamente è la Salvia Sclarea che trova dimora nell’areale di Pancalieri, insieme agli assenzi ed alla famosa menta.
Il vermouth si può produrre in tutto il mondo, il Torino esclusivamente nella Regione Piemonte.
Giova infine ricordare che l’Americano, detto in passato Vermouth al bitter, appartiene a questa famiglia, con l’unica differenza che nella ricetta l’elemento amaricante deve essere la radice di genziana e non l’assenzio, la cui presenza è facoltativa.

Chiudiamo la questione ripetendo ancora il fatto che una bottiglia, una volta aperta, andrebbe conservata in frigo e che la presenza del metal pour dovrebbe essere limitata al servizio. Il vermouth è un vino e come tale va trattato, con l’aggravante che, essendo aromatizzato, ha al suo interno molti composti volatili, come gli oli essenziali di scorza di agrume che hanno la tendenza a volatilizzarsi con facilità.

Passiamo ora alle differenze produttive esistenti fra rosoli e ratafià la cui storia produttiva spesso è trascurata poiché sui liquori spesso è riposta meno attenzione. Come per il vermouth entrambi affondano le radici nella tradizione piemontese. Ancora una volta questa regione ha il primato produttivo testimoniato dalla presenza fin dai primi del Settecento su tutti i libri di liquoristica del Rosolio di Torino e del Ratafià di ciliegie di Andorno Micca, poco sopra Biella. Questo eccellenza è dovuta alla presenza della corte Savoia, di una folta presenza di diplomatici e di una fiorente borghesia che necessitava di liquori di benvenuto per i propri ospiti e clienti.
Il vino passito e non, seppur ottimo, non poteva sopperire a questa esigenza anche perché lo zucchero presente nei liquori era un ingrediente troppo ghiotto ed alla moda per non apprezzarlo fino in fondo.
A questa esigenza rispondeva una forte e folta comunità di liquoristi, riunita nella famosa corporazione fondata nel 1739, dove tutti i grandi di oggi vennero ad imparare.
La capitale nel 1840, a fronte di 173.000 abitanti aveva 30 liquoristi con rivendita e 42 distillerie all’interno del suo tessuto urbano che producevano rosoli e ratafià, in quanto gli amari che ancora si chiamavano elisir, erano ancora relegati alla produzione farmaceutica. Numeri importanti che devono fare riflettere sull’importanza che aveva questa attività per il tessuto economico del capoluogo.
I primi erano prodotti secondo una ricetta consolidata che partiva dalla macerazione di spezie dove quasi sempre si trovavano macis o noce moscata, cannella e chiodi di garofano e scorze di agrume. Dopo di che si passava il tutto in alambicco e si procedeva ad una successiva macerazione per dare il colore al prodotto. Solitamente erano nuovamente arancio o limone, più raramente petali di fiori o erbe come melissa e menta.
Il nome Ros Solis, ovvero rugiada del sole potrebbe fare pensare all’auto distillazione, un metodo più economico che prevedeva di porre un contenitore ermetico in un luogo caldo, solitamente una stanza esposta a sud, con all’interno alcol ed un sacchetto, contenente le spezie, sospeso sopra il livello del liquido. Le goccioline di alcol aromatizzato, da qui il concetto di rugiada, che si formavano lungo le pareti sarebbero poi ridiscese unendosi alla massa.
Dopo questa operazione si diluiva di un terzo con acqua e di un terzo con zucchero, l’ingrediente in grado di corroborare e dare piacevoli sensazioni dolci fino ad allora ad appannaggio del solo miele.

La produzione del ratafià era invece sempre per macerazione, solitamente di frutta fresca, dalle ciliegie ai malli di noce e la quantità di zucchero era variabile in base alla dolcezza dello zucchero.
L’operazione avveniva in presenza del nocciolo e la percezione sulla lingua della nota di amaretto era il segnale che bisognava interrompere la macerazione poiché i composti amaricanti, ricchi di composti cianidrici, potevano compromettere la salubrità del prodotto.

Il servizio di questi prodotti era solitamente liscio. Vermouth, rosoli e ratafià diluiti con acqua fresca o con un raro e costoso pezzo di ghiaccio rappresentavano da soli un cocktail avendo al loro interno zucchero, spezie ed alcol, spesso ottenuto da vino o vinaccia, pertanto con sentori primari piuttosto marcati.
Un punch di tradizione americana già pronto in bottiglia che fece si che la tradizione della miscelazione arrivasse piuttosto tardi in Italia.

Oggi i rosoli hanno cambiato ruolo e trovano posto all’interno di gare di miscelazione come dimostra quella recente che ha avuto luogo al Roma Bar Show dove barman di tutto il mondo si sono sfidati a colpi di shaker utilizzando Italicus, il rosolio di bergamotto. Ha vinto un cocktail di un giovane austriaco che ha mescolato un gin alle foglie di alloro, vermouth dry, cordiale al coriandolo e olio di oliva.

Il ritorno in grande stile del Vermouth d Torino fa presagire anche una possibile riscoperta di rosoli e ratafià a cui il vino aromatizzato tolse lo scettro delle preferenze di corte. Si sa la ruota della storia gira.

Alla salute.

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