Il luppolo: l'oro verde della birra

di drinKing


Calypso, Galaxy, Warrior. Non sono i nomi dei protagonisti di un remake di Guerre Stellari, bensì quelli di alcune delle tantissime specie di luppolo (Humulus lupulus) utilizzate per la produzione della birra. Un utilizzo che si deve a una Santa, ovvero Ildegarda di Bingend (1098-1179), patrona dei filologi ed esperantisti, naturalista, scrittrice, drammaturga, poetessa, musicista, filosofa, linguista, cosmologa, guaritrice, naturalista, consigliere politico e profetessa. È infatti grazie ai suoi studi che il luppolo entrò pienamente come ingrediente della birra: alcune popolazioni del Caucaso usavano il luppolo per la preparazione della birra in epoche antecedenti a quelle della monaca, ma mai nessuno prima di lei riuscì a trasferire pienamente le proprietà di questa pianta alla birra, anche se diverrà elemento stabile di ogni ricetta birraia solo a partire dal XVI secolo, quando furono citati come ingrediente necessario nel Reinheitsgebot, chiamata anche “Legge Tedesca sulla Purezza”, del 1516.

Il luppolo viene impiegato nel processo produttivo della birra poiché è un ottimo conservante, funge da stabilizzante (in particolare per la schiuma) e ha funzioni aromatizzanti e amaricanti, cioè dona aromi e gusto amaro alla birra. Pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Cannabaceae e all’ordine Uticales, può vivere fino a 20 anni e i suoi fusti rampicanti possono raggiungere i 9 metri di altezza, cresce spontaneamente sulle rive dei corsi d’acqua, ai margini dei boschi, dalla pianura fino a un’altitudine di 1200-1500 metri e predilige ambienti freschi e terreni fertili.

In particolare, per la produzione di birra, viene utilizzato solo il fiore delle piante femmina del luppolo non fecondate e raccolto d’estate, che contiene diversi elementi utili per la birrificazione, come le resine - in particolare gli alfa acidi (Umulene) e i beta acidi(Luppulina) che influenzano il grado di amaro della birra - e gli olii essenziali, responsabili degli aromi che vengono ceduti alla birra. La birra, insomma, è il risultato dell'unione del sapore dolce e rotondo dell'orzo trasformato in malto con il retrogusto gradevolmente amarognolo fornito dal luppolo.

Le varietà del luppolo

Come dicevamo, ci sono moltissime varietà di luppoli, solitamente divise in due categorie: luppoli da aroma e luppoli da amaro, e alcuni sono considerati doppiovalenti. I luppoli con aromi più fini sono chiamati nobili, a causa delle loro ricercate proprietà aromatiche e poco amaricanti, e in questa categoria, ad esempio, rientrano le varietà Saaz, Spalt, Tettnanger, Hallertauer Mittelfrüh. I luppoli d'aroma, invece, hanno solitamente una concentrazione di a-acidi minore, ma contribuiscono notevolmente alle caratteristiche di aroma e sapore: in questa tipologia rientrano varietà come East kent, Styrian Goldings, Fuggles, Cascade, Willamette, Liberty, Crystal Ultra e Mount Hood. Infine, le varietà amaricanti (come Brewer's Gold, Nugget, Chinook, Eroica, Galena e Bullion, e quelli doppiovalenti come Northen Brewer, Columbus, Cluster, Perle e Centennial) hanno a-acidi in maggior concentrazione, ma il loro aroma e sapore vengono considerati meno raffinati. Un aspetto da non sottovalutare è che la regione di coltivazione e la “genealogia” del luppolo sono decisive per definire le caratteristiche del ceppo: i luppoli europei classici cresciuti in climi americani molto differenti mostrano tonalità diverse dai luppoli coltivati sul suolo europeo. È quello che nel mondo del vino viene chiamato terroir.

Il luppolo da amaro è utilizzato nella fase di ebollizione del mosto in quanto ha bisogno di tempo e calore per fare emergere la nota amara, mentre il luppolo da aroma è apprezzato per gli olii essenziali e per il profilo gustativo e viene aggiunto a fine ebollizione, proprio per non perderne le proprietà aromatiche. Least but not last, le resine del luppolo contribuiscono alla chiarificazione naturale della birra e alla stabilizzazione della schiuma.

A seconda della varietà e provenienza del luppolo cambiano la tipologia e la quantità degli olii presenti e, conseguentemente, anche il profilo aromatico complessivo: quelli più significativi sono il mircene, che apporta aromi erbacei e resinosi, il cariofillene e l’umulene, che sono i responsabili delle note erbacee e speziate, e il farnesene ,che è normalmente associato agli aromi floreali tipici dei luppoli nobili.

A ogni birra il suo luppolo

Le varietà di luppoli spesso vengono associate a precisi stili, anzi, alcuni stili sono definiti proprio dalla loro impronta di luppolo. Le Ale britanniche sono associate a luppoli del luogo (Est Kent Golding, Northen Brewer e Fuggles) e molte richiamano le caratteristiche di aroma e sapore di questi ultimi. Le Bohemian Pils, hanno il carattere speziato del Saaz; le German Pils, invece, usano Tettnanger, Hallertauer Mittelfrüh e Spalt; le Altbier, anche se hanno luppolature basse, solitamente vengono accompagnate da luppoli tipo-aroma usati per l'amaro; la Hallertauer, tipica dalla Bavaria, è una varietà molto usata per le birre Lager; Brewers Gold per l'amaro e Hallertau Hersbrucker per l'aroma, invece, sono i luppoli utilizzati per le Weiss. Anche gli stili meno luppolati, come le Bock e le Oktoberfest, godono i benefici di sagge luppolature con varietà continentali e di basso contenuto di a-acidi. Gli stili americani, soprattutto i più luppolati, come le America Pale e le Brown Ale, beneficiano del carattere floreale e citrico delle varietà Cascade, Centennial, Columbus o Chinook, carattere distingue gli stili americani da quelli europei.

La produzione: numeri e prospettive

Nel mondo, il luppolo viene coltivato su oltre 50.000 ettari per circa 120 varietà diverse: il primo produttore è la Germania con oltre 34.000 tonnellate (soprattutto nella città di Tettnang e nella regione bavarese di Hallertau), seguita dagli Stati Uniti con 33.000 tonnellate e dalla Cina con circa 7.000 (fonte: https://www.johnihaas.com).

E l’Italia? Si stima che il fabbisogno totale sia di oltre 3.500 tonnellate di prodotto all’anno che, a oggi, sono di totale provenienza straniera. Circa il 90% arriva dalla Germania, il rimanente da Polonia, Repubblica Ceca, Slovenia, Belgio, Inghilterra, Stati Uniti e Nuova Zelanda. Grazie a una adeguata strutturazione della filiera si intravede la possibilità di aprire le porte a un nuovo business. Nel nostro paese sono stati censiti 84 luppoleti commerciali (con superficie uguale o superiore a 1.000 mq), corrispondente a quasi 50 ettari di superficie coltivata (Fonte Crea, maggio 2018). L’interesse di start up guidate da giovani imprenditori appassionati del mondo della birra fanno ben sperare per il futuro del luppolo made in Italy.

Una produzione di luppolo made in Italy è auspicabile anche alla luce degli ultimi dati contenuti nell’Annual Report 2019 di AssoBirra. Nel 2018, si legge nel rapporto, il consumo di birra in Italia è aumentato del 3,2%, passando dai 19.684.000 di ettolitri nel 2017 ai 20.319.000 del 2018. La crescita si è tradotta in un aumento del 3,4% del consumo pro capite che nel 2018 si è attestato a 33,6 litri. A questo ha fatto seguito una crescita della produzione nazionale del 4,7%: con 16.410.000 di ettolitri registrati nel 2018, oggi l'Italia è al nono posto in Europa per volumi di produzione, mentre è in quinta posizione per numero di birrifici. Positivi anche i dati sull'occupazione, con una crescita annuale di 700 unità registrata nel settore e nel suo indotto, che oggi contano complessivamente 140.700 lavoratori. Segno più, infine, anche per l'export, che nel 2018 ha raggiunto il nuovo massimo storico sfondando il tetto dei 3 milioni di ettolitri, in aumento del 6,6% sul 2017. Relativamente all'import, invece, nel 2018 si è registrato in Italia un leggero incremento (+1,2%), per un valore complessivo di 6.948.127 di ettolitri. In questo scenario, si è registrata anche una crescita di malto italiano (+5,5%), passata dalle 75.800 tonnellate del 2017 alle 80.000 del 2018, e un aumento dell'import di luppolo, salito nel 2018 del 20,8%, da 2.748 a 3.320 tonnellate.



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