Pellicola ed etichetta: due mondi affini

di Marco Tonelli


Che cosa fa di un film un bel film? Sceneggiatura, certo, attori, pure, location, anche. La bellezza tuttavia sta negli occhi di chi guarda, ma anche nei dettagli. Gustare un’inquadratura, una frase, un’espressione del volto del protagonista senza preoccuparsi della trama è parte integrante del piacere di guardare un film. Lo stesso nel vino. Alle volte infatti accade che ci si soffermi su di un profumo o un sapore, piuttosto che sul giudizio finale di una bottiglia; sempre che un vino vada per forza valutato e non semplicemente goduto. Cinema e vino hanno perciò più di un punto in comune.

Entrambi presuppongono persone che li producano e ci lavorino. Quasi uguale anche per le modalità di consumo. In fondo si va al cinema da soli o s’invitano amici per condividere una visione, esattamente come si fa con il vino. Senza contare che ci si affeziona a registi e attori esattamente come si fa con i produttori di vino, aspettando, anno dopo anno, i frutti dei rispettivi lavori.

A sottolineare il parallelismo va ricordato come molti attori e registi siano realmente proprietari di aziende vitivinicole -su tutti Francis Ford Coppola- ma anche che molte bottiglie e relative annate siano protagoniste all’interno di numerosi lungometraggi. Tralasciando i film dedicati palesemente al vino, come la serie di Netflix Somm, o i docufilm come Barolo Boys e Mondovino, le bottiglie e relative etichette sono protagoniste tanto nelle commedie come nei thriller.

Ovviamente le tipologie più note e blasonate sono le più ricorrenti: Brunello di Montalcino e Chianti Classico, oppure i grandi Châteaux bordolesi.

Qualche esempio?

Il Bordeaux di Pontet Canet presente ne "L‘uomo del treno’" film francese in cui gli incroci di vita, s’intersecano con quelli della vite.

Ancora Bordeaux, questa volti targati Cheval Blanc (etichetta costosissima), nella pellicola americana Sideways, ma anche nella commedia francese intitolata "Cena tra amici" e nel delizioso, in tutti i sensi, Ratatouille.

Capitolo spy story. Il filone Bond ha sempre avuto un feeling con il vino molto profondo. Oltre al Bordeaux James Bond fa fuori più bottiglie di champagne che nemici. Riguardo alle maison presenti nei suoi film si sono alternate citazioni ricavate direttamente dai libri di Fleming, con altre, derivanti da ‘spunti’ legati alla pubblicità e al product-placement.

Sempre nei film di Bond troviamo anche riferimenti al vino in generale e al suo impiego a tavola, come nel caso di ‘Dalla Russia con Amore’, episodio della saga bondiana in cui l’agente di sua maestà smaschera la spia avversaria, perché abbina maldestramente un vino rosso alla sogliola o ancora quando Bond scopre un sicario travestito da cameriere, siamo nel film ‘Agente 007 una cascata di diamanti’, perché ignora che il Mouton Rothschild sia un Bordeaux e non un Borgogna.

Bond o non Bond il titolo dello Champagne ha sempre avuto quotazioni di prestigio anche in altre pellicole, come il ‘Tè del deserto’ o nel film che, forse, più di altri celebra il cibo e il vino: il pranzo di Babette, lungometraggio tratto dal racconto di Karen Blixen.

Un film delicato in cui cibo e vino sono il grimaldello che scardina gusto e cuori di una rigida comunità religiosa del nord europa.

Il vino italiano? Non manca di certo come dimostra un vino del notissimo produttore piemontese Gaja, presente nel giallo italiano ‘La donna della domenica’, tratto dall’omonimo libro del duo Fruttero e Lucentini.

In questa ubriacatura di citazioni mancheranno di sicuro titoli e rispettive etichette. A non mancare invece è la voglia di trovarne di nuove all’interno dei film, perché il vino, oltre che nel bicchiere, sta benissimo anche sullo schermo.






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